Una medium (Kristen Stewart) che ha appena perduto il fratello ma vuole in qualche modo continuare a comunicare con lui, è al centro di “Personal shopper”, premiato a Cannes per la miglior regia: è un film sui fantasmi senza fantasmi, però funziona benissimo. “Planetarium”, prodotto dai fratelli Dardenne e diretto da una giovane francese, è ispirato a una storia vera e racconta il viaggio nella Parigi anni Trenta di due sorelle medium americane, Kate e Laura Barlow: ottime le due protagoniste, Natalie Portman e Lily-Rose Depp, ma la trama diventa via via sempre più confusa.
È raro, oggigiorno, vedere un film di fantasmi senza fantasmi. Ed è ancor più raro vederne uno che funzioni davvero. C’era riuscito giusto Alejandro Amenábar con il suo splendido The Others (grazie anche a un’ottima Nicole Kidman pre-botox), capace evidentemente di fare scuola e dimostrare che sì, se puede mettere in piedi una pellicola capace di interessare, spaventare e tenere col fiato sospeso lo spettatore usando soltanto l’Abc del linguaggio cinematografico, senza computer fantascientifici né budget stratosferici. A volte, per raccontare una storia, bastano poche idee, purché ben pensate e realizzate con mestiere.
È da queste premesse che anche Personal Shopper del francese Olivier Assayas (Qualcosa nell’Aria, Sils Maria), quasi un habitué delle nomination a Cannes e dintorni, prova a dire la sua nelle nostre sale dopo un ottimo successo di critica in patria e oltreoceano. E non gli viene neanche tanto male. A dirla tutta, la pellicola di Assayas, premiata proprio a Cannes lo scorso anno per la miglior regia in concorso, è decisamente difficile da inquadrare: inizia come il più classico dei film horror, con una donna sola in una casa infestata da presunte presenze sovrannaturali, e prosegue come un thriller psicologico a vaghe sfumature erotico/feticiste attorno al corpo (e all’abbigliamento, quasi un co-protagonista) del suo personaggio principale.
La trama è piuttosto semplice, senza scossoni né particolari intrecci: Maureen è una medium che ha appena perduto il fratello gemello a causa di una malformazione cardiaca. In vita i due, entrambi capaci di comunicare con le anime dei defunti, si erano fatti una promessa: chiunque dei due fosse morto per primo, sarebbe tornato in forma di spettro per un ultimo saluto. Così, a Maureen ora non resta che aspettare, bloccata a Parigi (poteva andarle peggio), compiendo ricerche sul mondo delle sedute spiritiche e lavorando come personal shopper di celebrità e fashion blogger, in attesa di un segno che sembra non arrivare mai, alimentando disillusione e crisi d’identità.
Eppure, per qualche strano motivo, malgrado un ritmo tutt’altro che incalzante e nonostante una parte consistente della trama si risolva sostanzialmente in una bolla di sapone, il racconto cattura dall’inizio alla fine. Certo, buona parte del merito va all’one-woman show di Kristen Stewart, già al fianco del regista nell’acclamatissimo Sils Maria, e qui in buona sostanza unica vera presenza costante, tra stanze deserte e caos metropolitano: seguita (pedinata?) in ogni suo movimento ed emozione, lei che non ha mai brillato per espressività davanti alla macchina da presa, offre invece finalmente una prova di recitazione più che maiuscola, condita da una buona dose di fascino androgino mai così accentuato, al confine anche col travestitismo.
Già, perché, nonostante Assayas, critico cinematografico prima che regista, si dichiari a più riprese un fan di maestri dell’horror come Wes Craven o il nostrano Dario Argento, Personal Shopper non è affatto un film di genere, anzi. Come in Sils Maria, i piani di realtà, finzione e illusione sembrano sovrapporsi al punto da confondere lo spettatore tanto quanto la protagonista, dalla prima all’ultima inquadratura. Ma, soprattutto, i poltergeist da grande schermo sono solo di passaggio, una presenza sbiadita sullo sfondo di tormenti ben più grandi, come l’elaborazione del lutto, il fascino del proibito, o la voglia di essere ciò che non si è. I fantasmi più spaventosi e reali sono quelli che si annidano nell’inevitabile solitudine dell’animo umano, e affrontarli è tutta un’altra storia.
Personal Shopper di Olivier Assayas con Kristen Stewart, Lars Eidinger, Nora von Waldstätten, Sigrid Bouaziz
IL CINEMA E LE SORELLE CHE INVENTARONO LO SPIRITISMO
Planetarium, prodotto dai fratelli Dardenne e diretto dalla giovane regista parigina Rebecca Zlotowski, racconta il viaggio nella Parigi degli anni Trenta di due sorelle medium americane, Kate e Laura Barlow (Lily-Rose Depp e Natalie Portman), personaggi ispirati alla vera storia delle sorelle Fox, inventrici dello spiritismo. Durante il loro tour europeo le strabilianti Barlow attirano l’attenzione del rinomato produttore cinematografico André Korben (Emmanuel Salinger), che riconosce in loro un vero talento: Kate, la più giovane, è quella che effettivamente riesce a mettersi in contatto con l’altromondo, cadendo in uno stato di trance profonda che spaventa e affascina gli spettatori, mentre Laura ha il carisma e il physique du rôle necessari per convincere il pubblico delle doti incredibili della sorellina.
Korben prova in prima persona la potenza scatenata nelle sedute medianiche dalle ragazze, ne rimane sconvolto e decide di realizzare un film proprio sugli spiriti evocati da loro. Il progetto è rivoluzionario, si parla del primo film sui fantasmi della storia del cinema. Ma le intenzioni del produttore non sono cristalline come sembra, così le sorelle Barlow si dividono: la giovane Kate seguirà Korben nei suoi esperimenti esoterici, mentre Laura, che intuisce le reali intenzioni dell’uomo, si allontanerà per intraprendere un’estemporanea carriera dI attrice.
Dunque, se l’inizio del film lasciava intravedere la possibilità di uno sviluppo thriller della trama, da questo punto in poi la narrazione diventa molto confusa e la regista sembra accumulare situazione e tematiche che si aggrovigliano fino ad annodarsi irrimediabilmente. In effetti la Zlotowski aveva già suggerito nelle sue opere precedenti (come Belle Épine e Grand Central) di essere più interessata alla poetica che al plot della storia, ma in Planetarium sceglie di sposare il fascino retrò e l’amore per l’immagine, sganciandosi completamente dalle regole della sceneggiatura classica.
Anche il titolo non è di immediata comprensione, tanto che The Guardian ha scritto: “There are no planetariums in Planetarium”. Laura all’inizio del film, osservando un cielo stellato, spiega alla sorellina che “qualche volta è necessario fare buio per poter vedere meglio” e da qui prende le mosse il simbolico titolo. Un po’ Magic in the Moonlight di Woody Allen, un po’ omaggio a un periodo d’oro del cinema, ormai passato, il film riesce comunque a brillare grazie alle due protagoniste, incredibilmente simili a due vere sorelle e perfettamente equilibrate nei toni e nell’interpretazione.
Planetarium, di Rebecca Zlotowski, con Natalie Portman, Lily-Rose Depp, Emmanuel Salinger