Ormai lontano dai fasti di “Amelie”, Jean-Pierre Jeunet racconta qui le gesta di T. S. Pivet, baby-cartografo snobbato in famiglia ma premiato a Washington
Dopo i molti e lodevoli sforzi di superare definitivamente la dicitura facilona di “film per bambini” arriva questo Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet di Jean-Pierre Jeunet a rovinare tutto. Non solo infatti la definizione gli calza a pennello, ma addirittura il film ci sguazza dentro.
La storia, tratta dal romanzo Le mappe dei miei sogni di Reif Larsen, racconta di un giovincello appassionato di cartografia e invenzioni, T. S. Spivet, che incarna il più classico, e scontato, bambino prodigio; è un protagonista incompreso, per via delle sue bizzarrie, da personaggi mediocri o in ogni caso non alla sua altezza, una mamma entomologa e sensibile, un padre rozzo cowboy, una sorella aspirante miss America e un fratello gemello. Vivono tutti insieme in un ranch sperduto nel Montana, quando un giorno arriva una telefonata inaspettata; T.S. ha vinto un prestigioso premio scientifico ed è invitato a ritirarlo in una cerimonia a Washington. Il nostro piccolo eroe decide di partire per questo avventuroso viaggio e, manco a dirlo, scappa di notte senza avvertire i familiari.
Insomma ci sono tutti, ma proprio tutti, gli elementi tipici del film per bambini: il ragazzino eroe, il desiderio di emanciparsi da una realtà troppo ristretta, mille peripezie da affrontare per raggiungere l’obiettivo e, indovinate un po’, l’affermazione finale della superiorità dei “piccoli” sui “grandi”. I personaggi sono macchiettistici al di là del bene e del male, del tutto prevedibili, com’è prevedibile e scontato l’epilogo del racconto.
Tranne che in questo caso, è fastidioso e sbagliato, etichettare un’opera come “film per bambini”. È mistificatorio, sbrigativo, stucchevole, sia che la si intenda un genere filmico al pari di giallo, western o fantasy, sia che la si usi come identificazione artistica. I bambini non sono una razza, una nazione, né una setta, ma semplicemente una parte della popolazione, al massimo una categoria sociale, tra le più eterogenee al suo interno. Ci sono bambini a cui piacciono i film d’animazione e altri che amano gli horror, si va dai patiti delle saghe ai fan dell’avventura. Non ha senso riunirli come una fetta di pubblico con un gusto omogeneo.
Tra l’altro, i registi che più hanno cercato di scardinare questo meccanismo, sono stati proprio i francesi, da Lamorisse in poi. Com’è francese Jean-Pierre Jeunet, regista di questa sorta di on the road mezzo americano e mezzo europeo: già autore dell’acclamatissimo e pluripremiato Il favoloso mondo di Amélie, di quel successo, di quel gusto fiabesco e fantasmagorico così azzeccato, qui non ha portato nulla. Né ha raccolto l’eredità di vari illustri colleghi connazionali. Si è confermato anzi una meteora. Perché, di straordinario, in questo film c’è solo il titolo.