La sesta prova come regista (in 15 anni) del grande attore americano nasce da un documentario degli anni 50 su un caso di intolleranza in Pennsylvania e da un vecchio script sull’America linda delle villette unifamiliari che i mitici fratelli non hanno mai realizzato. Grazie a un cast strepitoso, dove spiccano Matt Damon, Julianne Moore (che ha una doppia parte) e il piccolo Noah Jupe, si racconta la tormentata apparizione della famiglia nera Meyers in una comunità ordinata e wasp, che reagisce nel peggiore dei modi anche in seguito a una misteriosa irruzione di malviventi nella casa dei vicini
Ormai è ufficiale: Joel & Ethan Coen sono dei geni. E George Clooney è di un’altra categoria rispetto ai comuni mortali o ai semplici frequentatori di Hollywood. La conferma viene da Suburbicon, che per il pubblico italiano, considerato a quanto pare un po’ tonto, si è “arricchito” di un sottotitolo un po’ televisivo: Dove tutto è come sembra.
Suburbicon è uno di quei quartieri residenziali con tante villette monofamiliari, il giardinetto, il posto macchina, i postini sorridenti. L’hanno edificato poco dopo l’ultima guerra mondiale, e nel giro di una decina d’anni è diventato un piccolo paradiso, ambito dalle famigliole in cerca di vita serena e sogno americano da perseguire, come recita la pubblicità nei titoli di testa. Siamo nel 1959 e sono arrivati dei nuovi vicini, i Meyers. Il postino arriva, suona alla loro casa per consegnare la posta tra cui c’è una rivista per casalinghe, gli apre una donna afroamericana, lui sorride ma vorrebbe la signora Meyers in persona, non la domestica. Mai avrebbe potuto pensare che la signora Meyers fosse quella donna nera. E mai avrebbero potuto pensarlo i benpensanti abitanti di Suburbicon, poco inclini ad accettare un’invasione del genere e pronti a prendere iniziative di disturbo nei confronti di chi vuole corrompere la serena comunità.
Accanto ai Meyers vivono invece i Lodge. Babbo Gardner, mamma Rose (costretta su una sedia a rotelle da un incidente d’auto), il piccolo Nicky, e occasionalmente c’è Margaret, sorella gemella di Rose. E qui una sera succede il fattaccio: due malintenzionati irrompono nella villetta dei Lodge, li sequestrano e li addormentano con il cloroformio provocando conseguenze gravissime. La comunità è sempre più indignata perché, sia chiaro, prima che arrivassero i Meyers non era mai successo nulla di simile. Questa è la premessa della storia, seguita da sviluppi sorprendenti e fantastici colpi di scena che spingono il racconto verso una dimensione sempre più grottesca e godibile. Si ride, molto, con le invenzioni magistrali disseminate a più riprese, compresi i dialoghi spiazzanti e talvolta agghiaccianti.
All’origine del film c’è Crisis in Levittown, Pa di Dan W. Dodson, un documentario del 1957 (visibile su Youtube) in cui si racconta un episodio vero avvenuto in Pennsylvania quando William e Daisy Myers, coppia afroamericana di laureati, si trasferì con i figlioli a Dogwood Hollow, frazione di Levittown, zona abitata esclusivamente da popolazione bianca. E proprio come in Suburbicon, dopo l’equivoco del postino nel giro di poche ore una massa fatta di centinaia di bianchi inferociti scopriva la terza narice disvelando la profonda natura razzista con tanto di bandiera confederata e croci infuocate.
Clooney e lo sceneggiatore Grant Heslov volevano raccontare una storia a partire da quella vicenda, quando George si ricordò di una sceneggiatura scritta dai Coen (intitolata per l’appunto Suburbicon) in cui si disvelava quel che succedeva dietro le linde facciate delle villette. La sintesi tra la storia ispirata dalla realtà e la fiction è un film assolutamente imperdibile. Matt Damon inciccito nel ruolo di Gardner Lodge, Julianne Moore in doppia veste come Rose e Margaret, il piccolo Noah Jupe (un’autentica rivelazione per come riesce a esprimersi emotivamente) e una serie di altre figure rendono Suburbicon uno dei film più arrabbiati, cupi e farciti di godibile sarcasmo recenti, perfetto matrimonio tra lo spirito irriverente dei Coen e la sensibilità sublime di Clooney.