In bilico tra fiction e realtà il film di Stefano Sollima usa gli elementi della realtà più nera di oggi per realizzare un gangster movie di grande impatto
E se il Lido di Ostia venisse trasformato in una specie di Las Vegas? Cemento su cemento a perdita d’occhio, alberghi e casinò, un immenso lunapark sul mare? Provate a immaginarlo, come se fosse possibile, prima o poi. Il regista Stefano Sollima l’ha fatto nel suo potente Suburra – e prima di lui Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, autori del libro omonimo che ha ispirato il film – dando all’operazione il nome di Waterfront: un’immensa speculazione edilizia frutto di un patto di ferro fra famiglie mafiose e criminalità romana, con l’indispensabile aiuto di un certo numero di politici corrotti o corruttibili e una discreta quantità di teppisti pronti a tutto, perché qualcuno che si sporca le mani serve sempre.
Ecco, questa idea di Ostia come Las Vegas è forse l’unica cosa inventata, di fiction, in Suburra. Tutto il resto sembra arrivare dritto dritto dalla cronaca nera di questi anni, dalle prodezze del clan Casamonica all’inchiesta su Mafia Capitale, dai politici malati di sesso e cocaina all’idea di un papa che un bel giorno decide di dimettersi dalla sua carica, per la prima volta nella storia della Chiesa. E propria nell’ovattata atmosfera di una stanza affrescata del Vaticano si apre il film, con questo annuncio appena sussurrato eppure dirompente. Come un annuncio di apocalisse, un’apocalisse scandita giorno dopo giorno, in un crescendo di terrore e morte, sotto una pioggia incessante che lava via tutto tranne il sangue, e rimane sospesa sulla città eterna e sulla varia umanità che la abita.
Sull’implacabile Samurai (Claudio Amendola), ultimo componente della Banda della Magliana, temuto trait d’union fra estremismo neofascista, grande criminalità e piccola malavita di periferia, custode di troppi segreti e per questo apparentemente intoccabile. Sul viscido onorevole Malgradi (Pierfrancesco Favino), piccolo uomo che si crede grande, abituale frequentatore delle stanze del potere ma soprattutto di letti sfatti e notti allucinate, inevitabilmente esposto ai peggiori ricatti.
Sull’ipocrita Sebastiano (Elio Germano), PR privo di scrupoli e di spina dorsale, timoroso di tutto e proprio per questo capace di tutto. Sul feroce Numero 8 (Alessandro Borghi), boss di periferia che non conosce altro dio al di fuori della violenza. Sull’ingenua ma tutt’altro che innocente Sabrina (Giulia Elettra Gorietti), giovane escort incapace di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Sulla tostissima Viola (Greta Scarano), tossica innamorata, guidata da una mira infallibile e da un inflessibile codice d’onore. E sull’esagitato Manfredi (Adamo Dionisi), brutale capo di una famiglia di zingari che non vuole più accontentarsi delle briciole e pretende di sedersi finalmente al tavolo di quelli che contano.
E i buoni? La polizia, i magistrati, la gente per bene? Dove sono tutti? In questa storia, semplicemente, non ci sono. Siamo nella Suburra, come dice il titolo, ripreso dal nome del quartiere dell’antica Roma dove il potere e la criminalità segretamente si incontravano.
Tutto questo è realistico? Sì e no. Sfogliando i giornali, anche soltanto quelli degli ultimi mesi, sempre più spesso sembra che la realtà si diverta ogni giorno a superare la fantasia. Quindi l’impressione di realismo in questo film è fin troppo forte, purtroppo. D’altra parte, è anche vero che gli autori (a dar man forte in sceneggiatura ci sono anche Rulli e Petraglia) e il regista si muovono esplicitamente dentro le coordinate del cinema di genere, costruendo una storia a forti tinte che volutamente mira allo stomaco dello spettatore. E per raggiungere l’obiettivo non lascia nulla di intentato: ritmo di montaggio incalzante, fotografia sporca, una regia energica e vibrante, che non disdegna trucchi e trovate narrative, e quando serve non si fa scrupolo di forzare i limiti della verosimiglianza. Il risultato è un film forte, potente, trascinante, un gangster movie che sembra un western metropolitano, un’idea di cinema che osa e che vince. Mica poco nell’attuale panorama del cinema italiano.