Al PAC sono in scena i progetti visionari del Superstudio, il collettivo di giovani architetti che ha rivoluzionato l’architettura, tra ironia e utopia.
Al Pac di Milano, il prestigioso padiglione dedicato all’arte contemporanea fondato nel 1947 e realizzato in più fasi dal grande Ignazio Gardella, va in scena la mostra Super Superstudio arte e architettura radicale.
Il protagonista principale è, come si legge dal brutto titolo, lo studio di design creato a Firenze nel 1966 da Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia, Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris; un gruppetto di giovani architetti neolaureati uniti dallo scopo di abbracciare un’architettura che intersecasse trasversalmente ogni forma d’espressione artistica, per una rifondazione metodologica e culturale della disciplina.
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Infatti, da lì a qualche anno, al principio degli anni ’70, il critico Germano Celant battezza “Architettura Radicale” quella corrente carica di tensione utopica e percorsa da sensibilità differenti, straniere e italiane, di cui le sperimentazioni di Superstudio sono tra le prime testimonianze; sperimentazioni che ancora oggi influenzano architetti come Zaha Hadid, Bernard Tschumi e Rem Koolhaas.

L’esposizione si snoda riempiendo tutti e tre i livelli ambientali del padiglione ed è pensata da Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi come un excursus di opere del gruppo fiorentino in aperto dialogo con creazioni di artisti contemporanei a loro ispirati. Purtroppo la mostra frana per metà su questa tentata convivenza che non funziona affatto: l’unico attore di classe in sala rimane lo storico collettivo di cui spiccano molti dei progetti più celebrati, tra ironia e utopia.
Qualche esempio. Il Monumento Continuo è un provocatorio progetto di urbanizzazione globale: una serie di fotomontaggi mostra il monumento, dalle superfici perfettamente lisce, espandersi in ogni dove, dall’acropoli di Atene a Manhattan, da Saint Moritz a Piazza Navona. Inevitabile fermarsi a riflettere sui rapporti tra architettura e natura, tra centro e periferia, tra tradizione e modernità. Gli Istogrammi d’architettura, così come il Tavolo Quaderna o la serie Misura, sono solidi essenziali, omogenei, quadrettati come i fogli da disegno tecnico: grado zero del design, oggetti neutri a ironizzare su ogni possibilità di feticistizzazione consumistica (e per chi non vuole separarsi mai dal suo istogramma, è disponibile anche la versione da passeggio: un parallelepipedo quadrettato privo di qualsiasi funzione ma dotato di pratiche maniglie). O ancora, La moglie di Lot, presentato alla Biennale di Venezia del 1978, è un’installazione che riflette in maniera icastica su come il passare del tempo agisca sulle architetture e sul nostro modo di percepirle: poggiati su un freddo tavolo di metallo, cinque edifici in miniatura realizzati con il sale sono erosi, goccia dopo goccia, dall’acqua versata da un tubicino.
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Le opere strettamente contemporanee che accompagnano qua e là il percorso sembrano invece non essere all’altezza e quasi disturbano o confondono la corretta armonia delle gustose invenzioni disegnative e architettoniche di Superstudio.
Provare assembramenti di opere o artisti, che navigano differenti stagioni della storia dell’arte, è un costume che sembra sempre più in voga nelle costruzioni museografiche temporanee, ma se queste scelte scaturiscono da un epidermico esercizio di pure suggestioni, senza una reale e sintomatica questione da dibattere, il risultato che ne consegue è quasi sempre scadente. La mostra di architettura su Superstudio realizzata al Pac di Milano rimane una scommessa vinta solo a metà.
Super Superstudio, a cura di Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi, PAC – Padiglione di Arte Contemporanea, fino al 6 gennaio 2016.
Immagine di copertina: Superstudio, Monumento continuo, 1969.