Bella (Emma Stone), una Lady Frankenstein morta sucida, è riportata in vita dallo scienziato pazzo Willem Dafoe con cervello da bambina capricciosa. E si lancia alla scoperta del mondo e delle sue libido (sessuale ma non solo) in compagnia del bel donnaiolo giocatore Mark Ruffalo. Scoprirà, da Londra a Parigi all’Egitto, le brutture della povertà e dei bordelli, fino a un ritorno a casa finale con sorpresa. Al di sotto della patina concettuale di Lanthimos esplode una carica creativa e passionale che fa della sua eroina, un po’ fantasy e un po’ gender, una reporter delle vergogne della società
Con 11 candidature ai prossimi Oscar, molti dei quali verranno raggiunti, già con in tasca il Leone d’oro di Venezia e due Golden Globe, arriva Povere creature! del 50enne regista greco Yorgos Lanthimos, che sarà per sempre una rivelazione, perché rivela sempre aspetti diversi di sé e del cinema. In Poor things, titolo originale, stranamente nel listino Disney, l’autore di tanti anomali e personali film da decifrare, si ispira a un romanzo tardo vittoriano di Alasdair Gray che parte da Glasgow – ma sulle geografia il film glissa – e lo declina in molte forme diverse: un film di fantascienza femminista, un racconto gotico, la storia di una educazione sentimentale, un monumento del surreale con splendide incursioni immaginifiche visive che vanno da Piranesi a incredibili creature fantastiche, cani con teste d’oca, polli col muso di cane, panorami quasi arcadici e un mare tumultuosamente finto come quello di Fellini.
Si parte da una specie di Lady Frankenstein, una donna suicida che è fatta rivivere dal solito scienziato “matto” Willem Dafoe – ha le sue buone ragioni, si vede dal voto tumefatto di tagli e di cicatrici come uno Scarface all’ennesima potenza – applicandole il cervello del feto che portava in grembo. E rinasce quindi una donna che sembra grande ma in realtà è una bambina capricciosa che non conosce il mondo, urlante come quella di Anna dei miracoli, alla ricerca della scoperta tattile dell’esperienza sessuale, assistita da un giovane medico ma poi aiutata da un avvocato gaudente, giocatore in tutti i sensi, di roulette e di donne (Mark Ruffalo, un personaggio che non sarebbe dispiaciuto a Clark Gable).
Con lui s’imbarca in una crociera come nei melò sentimentali di Bette Davis (Perdutamente tua) e conosce un po’ alla volta le gioie, le illusioni, le vergogne del mondo: se una signora le svela il nome di Goethe, vede giù in basso nella stiva i poveracci trattati come bestie ed ecco che nasce anche la coscienza sociale. Segue una peregrinazione passando da Londra ad Alessandria d’Egitto a Parigi, dove si impiega, lasciato l’amico spennato alla roulette, in un bordello, estremo anello di un tour nei sensi che la fa ora quasi assomigliare a una eroina di Genet. E quando torna dal padre, pronta alla sottomissione di un matrimonio regolare, succede ancora qualcos’altro che non sveliamo.
Emma Stone, questo va svelato, già Oscar per La la land, è prodigiosa nell’esprimere le mille sfaccettature di questo personaggio ibrido e tumultuoso, nelle cui pieghe vive la cultura di un secolo. Ma non pensate a un film didascalico, se mai a un racconto morale filosofico: spesso Lanthimos ci aiuta non solo con le sue visioni quasi oniriche, ma anche con intermezzi buffi e grotteschi, aiutato dallo sceneggiatore Tony McNamara che aveva fatto della Favorita, storia regale, un piccolo capolavoro di humour britannico. Inseguendo la crescita della Stone, che si chiama Bella, inseguiamo i sogni infranti di una civiltà su cui Lanthimos irride con un fondo ben visibile di amarezza in un gioco cinematografico che lo porta a toccare molte dimensioni in 2 ore e 21 minuti di cui si sopporta il peso senza alcun problema, ricominciando dunque daccapo dalla tarda società vittoriana dove una donna bambina scopre il mondo e le sue libido, quella sessuale ma anche le altre: diventa grande nella scorciatoia di una folle sensualità. La cosa sensazionale è che Bella congloba nel piacere anche gli altri impulsi primari e poco alla volta conosce anche le ingiustizie sociali, le nasce una coscienza civile, diventando sempre più ribelle coniugando il mestiere di prostituta al socialismo.
Il film di Lanthimos deve essere, come tutto il suo cinema, destrutturato, bisogna togliergli una patina concettuale che talvolta impedisce alla carica passionale che possiede di uscire con tutta la sua forza farsesca, che esprime una donna che rifà il cammino all’incontrario quasi come il Benjamin Button di Fitzgerald. Ma è la carica esplosiva dell’apparato visivo del film che gli dà una forza eccezionale, nell’energia della donna bambina che la Stone riproduce senza trucchi e senza inganni: lei che non conosce limiti osserva le vergogne della società pronta al conflitto tra natura e cultura. Da qui la cinica ironia dell’esperimento, idea di gender tutta fanta e personale, un viaggio sviluppato coreograficamente in un tempo e uno spazio inventati con forza immaginifica creativa.
Povere Creature di Ivan Lanthimos, con Emma Stone, Willem Defoe, Mark Ruffalo, Ramy Youssef, Christopher Abbott, Kathryn Hunter, Vicky Pepperdine