Un sound design curatissimo, movimenti di macchina inconsueti, immagini vivide e forti. Guadagnino prende spunto dal “Suspiria” del ’77 (ambientando in quell’anno la sua trama, tra Muro di Berlino e banda Baader-Meinhof) per dar vita a un film più esteso, razionale, contemporaneo, che va molto oltre il remake e l’horror movie: il figlio perfetto del suo cinema. Gran cast con Tilda Swinton, Chloë Grace Moretz, Dakota Johnson, Angela Winkler e un cameo di Jessica Harper, protagonista dell’originale
Con Suspiria di Luca Guadagnino è difficile parlare di remake ed è scomodo fare confronti, ma è comunque assurdo prescindere dall’originale. Questo perché siamo di fronte ad un’opera fiume di più di due ore e mezza, in cui è evidente un grande studio della materia di partenza, un approfondimento quasi accademico di alcuni spunti, che nella sceneggiatura di Dario Argento e Daria Nicolodi erano solo suggeriti sottovoce, e una rielaborazione che afferma una nuova voce e uno stile diverso. Perfino la certezza più scontata, cioè che il film appartenga al genere horror, è qui da mettere in discussione. Solo una cosa resta sicura: nessuno dovrebbe vedere Suspiria prima di andare a dormire! Infatti, anche se all’inizio si può avere l’impressione di assistere a una riscrittura più indie e soft del film horror, non si dovrà aspettare molto per essere ripagati con sequenze disturbanti e terribili.
Il plot, organizzato in sei capitoli più l’epilogo, rispecchia a grandi linee la traccia di partenza: Susy Bennon (Dakota Johnson, già diretta da Guadagnino in A bigger splash, consacrata alla celebrità dalla saga di Cinquanta sfumature) arriva a Berlino per fare un’audizione nella prestigiosa scuola di danza di Helena Markos. Una ragazza della compagnia, Patricia (Chloë Grace Moretz), è appena sparita, e c’è sicuramente sotto qualcosa di misterioso, ma l’attenzione di tutti è rivolta alla nuova arrivata che, con la sua audizione mozzafiato, sbalordisce l’insegnante miss Tanner (Angela Winkler) e perfino l’algida madame Blanc (Tilda Swinton, affezionata al regista dai tempi di Io sono l’amore).
Fin qui, appunto, niente di nuovo per chi ha visto il film di Dario Argento. Ma in realtà già ci sono degli spostamenti fondamentali: l’azione è ambientata non più a Friburgo ma a Berlino, e siamo chiaramente nel 1977. L’anno scelto non è casuale, sia perché nel film fa più di una incursione la Storia (la guerra fredda e la città divisa dal muro, le conseguenze del terrorismo e la banda Baader-Meinhof) sia perché proprio in quell’anno uscì il film originario, primo capitolo della trilogia cinematografica delle Madri, seguito poi da Inferno (1980) e La terza madre (2007).
Quindi già dalle prime “establishing shot”, nelle inquadrature iniziali di ambientazione, respiriamo un’aria nuova, più chiara e razionale rispetto al caos che generava paura e mistero nell’originale. In effetti capiamo subito che tra le stanze di quella scuola di danza si muovono forze oscure, sentiamo fin dalle prime battute appellare come “streghe” madame Blanc o la misteriosa Helena Markos, non abbiamo dubbi che riti segreti e spaventosi si possano consumare a pochi passi da quelle graziose ballerine. E il mistero terrificante che aveva costruito Argento cede il passo al disgusto disturbante dei corpi che si contorcono e sfracellano ad opera della magia nera.
A guidarci in questo viaggio di distruzione, tra le viscere, le ossa, il sangue, è la protagonista, Susy. Che oggi non è più l’innocente e sempre terrorizzata Jessica Harper (la prima Susy argentiana, che qui regala un cameo nei panni di uno spirito fantasma che accompagnerà – simbolicamente? – lo spettatore nel regno delle madri dell’orrore), dagli occhi sbarrati e con l’urlo pronto a scoppiare: questa nuova Susy sembra sicura di sé, determinata, padrona della situazione, quasi fosse lei il vero e unico mistero da svelare. A dimostrazione di ciò, appena arrivata nella scuola, lei si offre come ballerina protagonista di Volk, misterioso balletto coreografato da Madame Blanc durante la Guerra, eseguito in maniera impressionante da Dakota Johnson (che ricorda la giovane Natalie Portman del Cigno Nero) e accompagnato dalla musica ipnotica di Thom Yorke.
A ben vedere le sequenze più efficaci del film sono proprio quelle in cui i corpi si esprimono attraverso la danza, e la musica del geniale cantante dei Radiohead ha di certo contribuito a rendere memorabili quelle immagini, proprio come fecero i Goblin nei film di Argento. Infatti Suspiria è fatto di una musica dal sound design curatissimo, di movimenti di macchina inconsueti e immagini vivide e forti. Il direttore della fotografia Sayombhu Mukdeeprom (già al fianco di Guadagnino nel recente, acclamatissimo Chiamami col tuo nome), che ha dovuto vestire i panni scomodi di Luciano Tovoli, leggendario DOP che attraverso i suoi colori ha contribuito a creare la bellezza del primo Suspiria, ma ha retto magnificamente la parte. La fotografia infatti dipinge di tinte inquietanti questo universo dominato dalla figura femminile, fatto di donne, madri e streghe.
Piaccia o no, il fascino che scaturisce dal film crea nuova magia attorno alla leggenda di Suspiria. E come diceva Argento “La magia è quella cosa che ovunque, sempre, da tutti è creduta!”
Un indovinello per i cinefili: quale altro personaggio interpreta Tilda Swinton nella pellicola?