La compagnia Belle Bandiere in scena con tre famosi pezzi del drammaturgo russo inserendoci anche la vita, le lettere, gli affetti e il ritratto del tempo stanislavskjiano
La compagnia teatrale Le belle bandiere, fondata nel 1993 da Elena Bucci e Marco Sgrosso (già formati alla bottega del Teatro di Leo de Berardinis), ha formulato sin dagli esordi un repertorio di scelte versatili ed elastiche (da testi della Bucci stessa a Ionesco, Pinter, Brecht Achternbusch), pronto a sposare in armonia le istanze del gruppo, che rievoca un teatro in grado di dialogare con palchi istituzionali e, al contempo, di ridotta formalità – spazi aperti, case private, industrie abbandonate.
Con Svenimenti l’omaggio è doppio: il vaudeville, da un lato, “ringrazia” e rimescola gli atti unici, le lettere e i racconti di Anton Čechov. Dall’altro, a partire dal titolo scelto, Le belle bandiere rievocano anche Vselovod Mejerchol’d, che nel 1935 aveva già re-immaginato gli atti unici dell’autore russo, con un lavoro titolato appunto Trentatré svenimenti.
Nel lavoro di Belle bandiere il privato di Čechov si fonde all’artigianato creativo da lui elaborato: le parole e le frustrazioni del disastro post Gabbiano (messo in scena senza alcun successo nel 1986, a Pietroburgo) rivivono nella frenetica disamina di Olga Knipper (Elena Bucci), tra le maggiori incarnazioni del Teatro d’Arte di Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko e storica compagna di Čechov (che l’avrebbe sposata nel 1901), con il quale era solita intrattenere una fitta corrispondenza, anche a seguito della di lui dipartita.
Ai bordi dello spettacolo di Belle bandiere c’è, soprattutto, uno sconfinato atto d’amore politico nei confronti del teatro di Čechov. Un teatro, quello garantito degli atti unici, composto da tasselli di varia umanità, che si ripresentano sotto forma di graduale imbestialimento anche sulla scena, grazie ai corpi tesi di Bucci, Sgrosso (colonne portanti di Belle bandiere e alla guida del progetto e della drammaturgia) e Gaetano Colella (sodale della compagnia).
I tre attori vivono con intelligenza il progetto raccontato, e stringono per le mani una grossa opportunità: cantare un artista, le sue debolezze e la componente sentimental-biografica del suo dramma esistenziale, e confrontarsi egualmente con il prodotto delle sue creazioni.
Elena Bucci, che dello spettacolo è anche intelligente regista, riesce a bene amalgamare i due aspetti della sua messinscena, e a inserire ai quadri vaudeville le sue intuizioni più ironiche, alternando con credibilità una vis drammatica di elevata consistenza, “riservata” alle parentesi in cui Olga racconta – senza alcun filtro – Čechov.
Da una parte incalzano Fa male il tabacco, La domanda di matrimonio e L’orso, dall’altra la solitudine di un artista tormentato in isolamento a Yalta, e le sofferenze di una attrice, Olga, che vorrebbe far parte del suo immaginario di vestaglie e babe alla porta con pipe in bocca, e non sempre ci riesce.
Ne viene fuori un ritratto d’artista-uomo tenero, dolce e nervoso, competitivo – non mancano gli strali nei confronti di Stanislavskij e degli atti unici stessi, giudicati “volgarotti” -, maestro di drammi costellati da eventi tumultuosi, di piccoli ritratti quotidiani d’esistenze ordinarie, tronfie e rumorose, di cieli di Russia che tutti vorremmo continuare a vedere per sempre.
E lo spettacolo delle Belle bandiere, in fondo, gode felicemente della sua componente encomiastica, e ne acciuffa ogni vantaggio; fluido e scorrevole grazie al ritmo con cui Bucci e Sgrosso hanno rielaborato l’intreccio e alla recitazione dei due e di Colella, Svenimenti rappresenta un organismo vitale – e teatrale, s’intende – di notevole e misurato rigore, una più che gradevole esperienza che lascia intravedere una capacità di lavorare sul e per il teatro che piacerebbe vedere con sempre maggior frequenza.