Addio Lugano Bella… L’Anarchia, raccontata dall’arrivo di Bakunin a Locarno, ha riscosso tra gli artisti più successo di qualunque altro movimento
Forse qualche speranza possiamo nutrirla ancora, se la Svizzera, baluardo del capitalismo, onora la sua storia negata con la mostra Addio Lugano bella. Anarchia tra storia e arte a Mendrisio. Sembra che finalmente si realizzi la profezia della canzone:
Addio, Lugano bella,
o dolce terra pia,
scacciati senza colpa gli anarchici van via
e partono cantando
colla speranza in cor,
e partono cantando
colla speranza in cor…
Ma tu che ci discacci
con una vil menzogna,
repubblica borghese,
un dì ne avrai vergogna
ed ora t’accusiamo
in faccia all’avvenir.
Ci siamo dimenticati che la Svizzera durante tutto l’Ottocento e fino alla Prima Guerra Mondiale ha offerto rifugio a centinaia di profughi politici anche del Risorgimento italiano e agli anarchici dopo la caduta della Comune di Parigi.
Si tratta di una mostra radicata nella storia, che comincia con l’arrivo di Bakunin a Locarno (1869) e la fine del primo, utopico periodo del Monte Verità (1920 circa), e che documenta il vincolo tra arte e società..
Forse nessun movimento politico come l’Anarchia ha avuto tanti simpatizzanti e militanti tra gli artisti. Fin dai tempi di Courbet, di cui vediamo in mostra un intenso ritratto di Proudhon, furono soprattutto le avanguardie ad aderire alle istanze libertarie.
Ed è per voi sfruttati,
per voi lavoratori,
che siamo ammanettati
al par dei malfattori;
eppur la nostra idea
è solo idea d’amor,
eppur la nostra idea
è solo idea d’amor.
Anonimi compagni
amici che restate,
le verità sociali
da forti propagate:
e questa è la vendetta
che noi vi domandiam,
e questa è la vendetta
che noi vi domandiam.
Così continua la canzone e i politici assegnavano all’artista il compito di educare le masse, di denunciare oppressione, sfruttamento, senza preoccuparsi troppo di questioni di stile.
Ortodossa ai dettami, l’Allegoria del lavoro di un giovanissimo, irriconoscibile Carlo Carrà, mostra un ragazzo a torso nudo con martello e incudine, circondato da lavoratori distrutti dal calore di una fornace.
Ancora più enfatico, retorico è L’oratore dello sciopero di Emilio Longoni, il volto congestionato dalla foga, si tiene in equilibrio su un’alta staccionata mentre arringa una folla rabbiosa col pugno chiuso.
Decine di quadri cupi, desolati – città e campagna, operai e contadini uniti nella miseria, nella brutalità dello sfruttamento. Sembra che quell’istanza libertaria, quel sol dell’avvenire – insomma il sogno utopico di un mondo felice in cui tutto e tutti sono in pace, senza costrizioni né vincoli – si siano appannati.
Per fortuna che ci sono artisti come Paul Signac , sì di salda fede anarchica e cosciente della questione sociale, ma insieme di quella artistica e del loro difficile rapporto. In un suo scritto pubblicato su La Revolte nel 1891 sostiene che hanno servito meglio la causa della rivoluzione le opere di Flaubert, dei Goncourt, di Zola, create con puro intento letterario, che non quelle più schierate da un punto di vista di critica sociale.
Vediamo esprimere la sua visione in Au temps d’harmonie, con coppie di popolani in una gioiosa scena campestre, quella comunità di gioia che tenteranno di costruire gli utopisti del Monte verità ad Ascona.
Più realistico Angelo Morbelli nel magnifico Per ottanta centesimi!: mondine dalle gonne variopinte e dai gran bei culi, chine nella raccolta, sono riflesse nell’acqua della risaia; la tecnica divisionista di scomposizione dei colori dà un’evidenza quasi trascendente al loro lavoro.
Stessa tecnica, anche se più cupo, per Pellizza da Volpedo nei disegni preparatori e nel bozzetto per Fiumana.
Scacciati senza tregua,
andrem di terra in terra
a predicar la pace
ed a bandir la guerra:
la pace tra gli oppressi,
la guerra agli oppressor,
la pace tra gli oppressi,
la guerra agli oppressor.
Addio Lugano Bella, Anarchia tra storia e arte, Mendrisio, Museo d’arte, fino al 5 luglio 2015
Foto: Otto Baumberger, Revolution, 1917