Lo Swing secondo Zadie Smith

In Letteratura

“Swing Time” di Zadie Smith è un patchwork di tematiche universali con particolare attenzione alle tematiche delle famiglie mixed race.

 

Erano mesi che vedevo pubblicata ovunque online questa copertina gialla, molto bella e ammiccante, in libreria mi ero avvicinata più volte ma non mi decidevo a comprare il libro, 417 pagine sono tante e in genere quando vedo un gran battage attorno a un romanzo tendo a passare la mano!

Invece eccomi qui, alla fine l’ho letto.

Non vi dirò che lo swing è un tipo di musica dalla sezione ritmica dondolante ecc. perché lo avrete letto in ogni recensione, piuttosto vi dirò che lo swing negli anni cinquanta si è evoluto (o involuto dipende dai punti di vista) nel cosiddetto mainstream che è il risultato degli stili suggeriti dalle varie scuole di jazz, una sorta di mix.

Dovendo definire il romanzo di Zadie Smith io lo definirei un Mainstream più che uno Swing, un patchwork di tematiche talvolta universali e altre tipiche delle famiglie “mixed race”.
Il romanzo è diviso in sette parti, ognuna ha numerosi capitoli, tutti brevissimi, una struttura narrativa decisamente coraggiosa dal momento che l’autrice spazia temporalmente tra il presente della protagonista, la sua infanzia e la sua adolescenza senza un vero filo conduttore.
Il risultato è armonico, qui viene fuori la scrittrice di talento, lo stile è impeccabile e gli approfondimenti di alcuni temi fanno di questo romanzo una sorta di indagine sociologica, la Smith si sa, è una brava saggista.

In estrema sintesi:
Swing Time racconta la vita di una ragazza nata e cresciuta in un quartiere periferico di Londra dove anche le sfumature del colore della pelle possono fare la differenza nella psicologia di chi deve lottare per cercare una identità, per inserirsi in un gruppo sociale o, come dice la protagonista, in una “tribù” (la protagonista e la sua amica sono mulatte, non nere e non bianche). È la Londra multietnica e povera, la città che fa fatica a dare una vera opportunità di riscatto a tutti. La danza e la musica swing sono il fil rouge che collega alcuni dei personaggi più importanti: la protagonista, la sua amica del cuore Tracey, la pop star idolo della protagonista e per la quale lavorerà realizzando quello che le sembrava essere il suo sogno.

Tra i mille argomenti che Zadie Smith serve su questo ricco piatto, ho apprezzato particolarmente il modo in cui ha saputo raccontare la scoperta del sesso della protagonista bambina e della sua amica Tracey (protagonista in seconda), la Smith ha colto perfettamente le dinamiche dei riti pre-adolescenziali contestualizzandoli alla realtà di questo quartiere a nord-ovest di Londra. I riferimenti espliciti al sesso, alla ricerca del piacere da parte di bambini ancora alle elementari ci restituisce una realtà in genere poco raccontata, Zadie Smith lo fa senza imbarazzi e senza risultare volgare o esageratamente scientifica, non si mette nei panni di Freud insomma.

“In cortile è scoppiata la mania di acchiappare vagine. Tre bambini del caseggiato di Tracey avevano dato il via al gioco (…) era come giocare a rincorrersi, ma le femmine non rincorrevano mai, solo i maschi: noi femmine scappavamo finché non finivamo intrappolate in qualche zona appartata, lontano dagli occhi dei sorveglianti e delle addette alla mensa, e a qual punto una piccola mano ci scostava le mutandine, ci si infilava nella vagina e la solleticava in modo rozzo e frenetico, e poi il bambino correva via e ricominciava tutto da capo (…) l’imbarazzante verità è che volevo essere presa – mi piaceva la scarica elettrica che andava dalla vagina all’orecchio già solo al pensiero della piccola mano calda.”

L’analisi delle dinamiche famigliari dei personaggi permette di vedere scandagliati sentimenti, pregi e difetti principalmente di due famiglie: la famiglia di Tracey e quella della protagonista, pagina dopo pagina queste due ragazze si trasformano, i semi gettati dai rispettivi genitori faranno crescere due frutti totalmente differenti.

Tracey, trasformata in una piccola donna fin dall’infanzia, impara dalla madre la seduzione come strumento per realizzarsi nel mondo. Tracey è bella, ha un gran talento e sua madre la copre di lustrini e nastri per farla brillare, diventerà una bravissima ballerina questo vuole sua madre. Ma Tracey ha anche idealizzato una figura paterna totalmente assente, ha interiorizzato l’abbandono, la delusione, la violazione di ogni aspettativa e dei canoni morali sottesi all’istituzione famigliare, Tracey non avrà scampo, dovrà diventare ciò che la sua famiglia ha voluto per lei e indosserà gli abiti sgargianti dell’infanzia e dell’adolescenza anche da adulta, un modo, ho pensato, per fermare il tempo.

La protagonista:

” Avevo sempre cercato di aggregarmi alla luce degli altri, non avevo mai avuto una luce mia. Mi percepii come una specie di ombra”.

Qui Zadie Smith descrive perfettamente la sua personalità, schiacciata in primis dalla figura materna, donna bellissima che ha abdicato al ruolo di madre e moglie per realizzare le sue ambizioni di giamaicana che vuole emergere e affermarsi non solo nel mondo accademico ma anche in quello politico, poi dall’amica di sempre: Tracey, che finirà per condizionarla a vita rubandole perfino il sentimento prezioso che la univa al padre.

L’autrice descrive la mamma facendone emergere le sue debolezze, le debolezze tipiche di chi mette al primo posto il desiderio di emancipazione, di realizzazione. La protagonista crescerà pensando che nulla è più importante della possibilità di scegliere.

“Che cosa vogliamo dalle nostre madri quando siamo bambini? Completa sottomissione”.

Così avrebbe voluto la nostra protagonista

“vuoi solo che tua madre ammetta una volta per tutte che lei è tua madre, solo tua madre, e che la sua battaglia con il resto della sua vita è conclusa (…) la mia prima percezione di lei fu quella di una donna che progettava la fuga, da me, dal ruolo stesso di madre”.

Tutti gli studi di sociologia e politica di sua madre non la influenzeranno più di tanto, in fondo questa madre non era così perfetta! Una donna che aveva sempre vissuto sulle spalle di qualcuno (prima il marito poi gli altri compagni e compagne), che si era fatta finanziare le lotte per gli ideali concedendosi il lusso di non dover lavorare per denaro senza tuttavia risparmiarsi giudizi impietosi sugli altri.

Questo personaggio ha permesso a Zadie Smith di affrontare il tema del femminismo dal punto di vista di una donna di colore. Ciò che mi è sembrato sia emerso tuttavia è una serie di luoghi comuni che non hanno nulla a che vedere con l’approccio sociologico di altre autrici di colore, ne cito una per tutte: Chimamanda Ngozi Adichie. Se la Smith voleva criticare il femminismo in effetti lo ha fatto ma a esser veramente sinceri non ne sono certa perché a parlare, a dare certi giudizi, è una giovane donna che rivendica il ruolo di figlia, in questo caso l’analisi sociale mi sembra lasci il posto al romanzo. Del tutto superflua l’esigenza di farla rientrare anche nel mondo gay, l’ho trovata una forzatura inutile, un ingrediente di cui questo ricco minestrone poteva fare a meno.

Molto bella la figura del padre.

“Quando ero piccola, a otto o nove anni, mio padre mi aveva mostrato il certificato di nascita di suo padre, sul quale veniva dichiarata la professione dei suoi nonni – lisciviatore e tagliastracci -, e questo doveva servire a dimostrarmi che la sua tribù era stata definita dal suo lavoro (…) era convinto dell’importanza del lavoro come mia madre era convinta che le definizioni davvero importanti erano quelle di cultura e colore”.

E la musica? La danza?

“Se Fred Astaire rappresentava l’aristocrazia, io rappresentavo il proletariato, diceva Gene Kelly, e secondo questa logica il mio ballerino sarebbe dovuto essere Bill Bojangles Robinson, perché Bojangles danzava per il dandy di Harlem, per il ragazzino del ghetto, per il mezzadro: per tutti i discendenti degli schiavi. (…). Sapevo che c’era qualcosa di sbagliato nelle sue rigide distinzioni (sue di Tracey) tra musica nera e musica bianca, che da qualche parte doveva esserci un mondo in cui si univano. “

Del tutto insulsa la figura di Aimee, la pop star per la quale la protagonista lavorerà, è la summa di personaggi come Madonna e Angelina Jolie.  Tutta la parte che la riguarda, comprese le moltissime pagine dedicate ad un progetto di costruzione di una scuola per bambine nell’Africa Occidentale, è noiosa e ricca di luoghi comuni che fanno decisamente scendere il livello di interesse, il mio almeno. Il tentativo di denunciare la superficialità con cui benefattori del jet set adottano bambini in cambio di denaro, l’intento di evidenziare come alcune opere di “beneficienza patinata” possano diventare nocive e annullare anche l’orgoglio atavico delle origini di un popolo hanno fallito del tutto l’obiettivo, risultano infatti oltre che noiosi anche raccontati con tono da tabloid.

Zadie Smith in tutta la storia ha fatto la scelta di rinunciare a qualsiasi colpo di scena, forse possiamo trovarne un embrione quando la protagonista rivela cosa aveva fatto Tracey per distruggere il suo rapporto con il padre ma è poca cosa, così come il finale che mi ha lasciata assai perplessa.

Volendo trarre delle conclusioni posso certamente dire che quello di Zadie Smith è una sorta di saggio romanzato che però non ha lo Swing promesso nel titolo e pur perfetto nella sua costruzione narrativa e nello stile impeccabile finisce per lasciare una lettrice come me del tutto indifferente perché non ho letto un vero romanzo e non ho letto neppure un saggio.

Più che Swing…Maintream

(Visited 1 times, 1 visits today)