Damine Manivel e Kohei Igarashi incontrano un bambino di sei anni in un paese nelle montagne giapponesi e decidono di farne il protagonista di un film. Takara un giorno esce di casa, con un disegno nello zainetto, ma non va a scuola: deve trovare il padre, che così poco vede per il suo lavoro, e consegnargli quell’opera che ha fatto per lui. Sulla strada c’è un mondo immacolato con cui giocare
Dopo aver bussato alla 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, ospite della sezione Orizzonti, Takara – La notte che ho nuotato arriva nelle sale italiane grazie a Taycoon, distribuzione indipendente. Figlio franco-giapponese di Damine Manivel e Kohei Igarashi, il film è la versione nipponica de I 400 colpi, dove l’infantile frenesia del bambino viene arginata dall’atmosfera ovattata delle montagne imbiancate.
Fin dal titolo il racconto ruota attorno a Takara Kogawa un bambino di sei anni conosciuto per caso dai registi in Aomori, una delle regioni più nevose del Giappone, dove viveva insieme alla piccola sorella, alla madre e al padre pescivendolo. È un film che nasce da una serie di fortunati eventi: i due registi si incontrano durante una kermesse e si riconoscono nella comune semplicità di pensiero. L’uno ama la neve, l’altro l’infanzia, ma entrambi sono attratti dalla storia di quel piccolo, conosciuto per caso, che trascorre le giornate nella più completa solitudine, senza mai vedere il padre. Catturati dalla sua imprevedibilità e tristezza, lo eleggono a unico interprete della loro operetta poetica.
E così inizia la poesia. È piena notte quando il padre si alza dal letto, centellina le energie, scende le scale e va in cucina a fumare una lunga sigaretta. Il figlio si desta, lo origlia e si corica senza riuscire a prendere sonno. Decide di disegnare, per quel padre che vede così poco, i pesci che ha lui fotografato al mercato in cui lavora. Ancora insonnolito perde la strada di scuola e con il disegno nello zainetto inizia a girovagare senza una meta precisa, sperando di poter dare al padre il suo regalo.
La cinepresa esce dalle fredde camere dell’abitazione di Takara e lo segue negli ampi spazi del paesaggio giapponese imbiancato, in cui il bambino si muove con famigliarità. Il piccolo è accolto da un morbido letto di neve fresca, mangia frutti che trova per strada e si ferma a giocare sulla via con cagnolini solitari, unici amici dei suoi giochi randagi.
L’occhio fisso di una camera statica dal retrogusto voyeur ritrae il piccolo nei tre capitoli del racconto della sua giornata: il disegno, il mercato del pesce e il lungo sonno. Protagonisti dell’haiku per immagini sono il bambino e la neve, dove il silenzio che avvolge tutta la breve pellicola è superato dalla fotografia come linguaggio universale.
È una storia semplice, senza dialoghi o merletti, capace di far regredire lo spettatore alla meraviglia della dimensione infantile.
Takara – La notte che ho nuotato, di Damien Manivel e Kohei Igarashi, con Takara Kogawa, Keiki Kogawa, Chisato Kogawa, Takashi Kogawa.