C’è ancora bisogno di classici a teatro?

In Teatro

Milano ha ancora fame di classici a teatro? A ben guardare i cartelloni, la risposta è sì…

Milano ha ancora fame di classici? Forse sarebbe meglio dire che è il teatro in generale ad averla, ma la risposta resta comunque: sì.

È vero, canone alla mano, che la definizione di classico si fa sempre più impercettibile e quasi fitta nella sua molteplicità di sfumature, ma è altrettanto innegabile come la città, lungo l’arco di questa stagione ancora in corso, abbia deciso di fare i conti con i grandi maestri del teatro. Quelli che si studiano in classe, quelli che hanno partorito indimenticabili battute che zelanti futuri istrioni mandano a memoria per entrare in scuole di prestigio, quelli che gli accademici custodiscono gelosamente.

Bando alle chiacchiere, a ogni modo: chi scrive, nemmeno troppo tempo fa, aveva segnalato la presenza di ben tre Amleto sui palcoscenici lombardi, a distanza ravvicinata l’uno dall’altro. Appetito shakespeariano? Be’ di certo vien mangiando: e le occasioni non si sono di certo risparmiate. Un altro grande cult del Bardo, la Dodicesima Notte, è tornato in scena al Parenti nella sognante, ebbra e raffinatissima edizione firmata dall’icona Carlo Cecchi. Senza trascurare, tra le quinte del Libero, l’Otello nell’edizione altera e tensiva diretta da Corrado d’Elia. A Shakespeare, si sa, vogliamo tutti bene: c’è però chi perdona con più facilità un allestimento poco riuscito, chi è più tollerante, e chi ancora si lascia entusiasmare dall’auctoritas di un nome intramontabile. A ogni modo, per quest’anno, la prova Bardo – in tutte le sue simpatiche declinazioni, ivi inclusa quella in salsa psico-brianzola dell’Amleto diretto da Aldo Cassano al CRT.

Spostiamoci di qualche latitudine a est (oltre che di qualche secolo in avanti), alla ricerca di un altro grande signore di classici: Anton Čechov. Eh sì: la casa Russia ha avuto le sue soddisfazioni sul palco, quest’anno. È andato da poco in scena, ancora al Parenti, la rilettura delle Sorelle firmata da Roberto Rustioni: la sua Villa Dolorosa è un’opera dolce e malinconica, quasi sorprendente nella sua lieve vocazione al crepuscolo. Non solo: sia messa agli atti una edizione «in lombardo» dello zio Vanja a opera del gruppo Oyes di Stefano Cordella, in cui il protagonista è uno sfegatato tifoso dei diavoli rossoneri, al centro di una drammaturgia leggera e al contempo mirabilmente ragionata. Il Gabbiano, invece, è tornato a volare sul Piccolo Teatro per la regia di Carmelo Rifici: il regista asseconda l’anti-naturalismo della pièce, valorizzandone gli aspetti surreali, un riempimento saggio di tragedia e grottesco, a supporto dello straordinario testo di partenza. Promosso, promosso. Latitudine dopo latitudine, eccoci al grande nord di Henrik Ibsen: la sua Casa di Bambola è approdata (e tornerà) tra le tavole del Parenti, con Marina Rocco nei panni di Dora e Filippo Timi in tris d’abiti maschili.

Per tornare invece tra i baluardi riconosciuti di casa nostra, non si può tacere delle recenti incursioni di Carlo Goldoni all’Elfo Puccini: il Bugiardo, con regia del bravo Valerio Binasco e un’ottima compagine di attori, ha risuonato in tutta la sua scintillante, beffarda modernità per il pubblico milanese – che pare avere apprezzato. O ancora Le donne gelose, che con echi ronconiani (sarebbe stata la sua prima regia dopo i fasti di Lehman) è svolazzato al Piccolo, tra manipolazioni e gocce di decadenza. E ancora al Piccolo è andato in scena uno dei testi firmati da colui che il teatro l’ha ri-fondato: Questa sera si recita a soggetto, di Luigi Pirandello. Le nevrosi generative di Hinkfuss hanno ripreso vita grazie alla tensiva, memorabile interpretazione di Luigi Lo Cascio, diretto da un ispirato Federico Tiezzi. E se i puristi storcono il naso nel sentire un rivoluzionario della teoria scenica come Pirandello essere definito «classico», possono essere più sollevati nel sentire i nomi di Hermann Broch (la cui Morte di Virgilio ha ispirato lo spettacolo di Anagoor in scena ancora al Piccolo) o Georg Büchner (La morte di Danton, diretto da Mario Martone con cast all-star capitanato da Giuseppe Battiston).

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Insomma, i nomi non mancano – e francamente, la qualità nemmeno. Torniamo al quesito iniziale: il teatro ha ancora bisogno di classici? Be’, il teatro ha bisogno di tutto – sarebbe la risposta più ortodossa. E allora tanto vale dirlo chiaramente: i classici, oggidì, consentono la sperimentazione tanto quanto testi ben più moderni. E ha ancora senso continuare a fare di queste distinzioni? Ci si augura di no. E di continuare a vederlo ancora, un buon teatro. Per questa stagione, bontà nostra – e degli addetti ai lavori– siamo stati fortunati. Al varco, intanto, c’è l’Opera da tre Soldi di Michieletto. Brecht è “classico”? Chi sa rispondere alzi la mano. Della sua Opera, però, torneremo a parlare molto presto…

 

(Immagine di copertina tratta da Morte di Danton, immagine nel testo tratta da Le donne gelose, per il video delle prove aperte da Una casa di bambola si ringrazia Teatro Franco Parenti)

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