Con la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, il Teatro dell’Elfo riporta in scena Il seme della violenza/The Laramie Project di Moisés Kaufman e dei membri del Tectonic Theater Project: otto attori rievocano l’omicidio di Matthew Shepard
Il 6 ottobre 1998 Matthew Shepard, uno studente dell’Università del Wyoming, fu massacrato di botte da due coetanei e lasciato morire legato a una staccionata. Il ragazzo era un omosessuale dichiarato e l’azione dei due balordi nasceva in un contesto in cui larga parte della comunità, in modo più o meno aperto, nutriva pregiudizi, ostilità e diffidenza nei confronti dell’omosessualità.
Il caso suscitò notevole scalpore e attrasse, oltre all’attenzione dei media, l’interesse di Moisés Kaufman. Con i membri del Tectonic Theater Project si recò nella cittadina del Wyoming e, superando l’iniziale diffidenza, condusse un’ampia campagna di interviste alla gente del posto per raccogliere informazioni sul fatto e su come questo fosse stato valutato e percepito dall’ambiente circostante. The Laramie Project nasce dalle trascrizioni di queste interviste, che vengono portate in scena da otto attori, ognuno dei quali, con minimi cambi di abbigliamento e di intonazione, dà vita a più personaggi.
Kaufman, che ha lavorato con materiali documentari anche nella pièce dedicata al processo a Oscar Wilde (Gross Indecency: The Three Trials of Oscar Wilde), ha realizzato un testo che oggi è considerato tra gli esempi più significativi del cosiddetto documentary theatre, o verbatim theatre, o theatre of the real. La pièce ha avuto grande risonanza in America e lo stesso Kaufman ne ha fatto un film per la HBO (lo si trova anche su YouTube), interpretato, tra gli altri, da Steve Buscemi e Christina Ricci.
È un testo ad un tempo immediato, perché colpisce e coinvolge lo spettatore in modo diretto, e complesso, perché non c’è un unico punto di vista e non ci sono spiegazioni semplici, lineari. La complessità a cui mira questa operazione teatrale è programmaticamente contrapposta al sensazionalismo dei mass media, che si sono gettati con morbosità sugli avvenimenti (in diversi momenti compaiono in scena troupe televisive che sovrappongono le loro voci creando un incomprensibile caos informativo).
The Laramie Project è un lavoro per il quale la compagnia dell’Elfo aveva una naturale affinità. Non solo perché il teatro milanese si era già confrontato con l’opera di Kaufman portando in scena il già citato testo su Wilde (Atti osceni: i tre processi di Oscar Wilde).
Ma soprattutto perché The Laramie Project rientra perfettamente in una delle linee guida della programmazione dell’Elfo, che con frequenza guarda all’America e al suo teatro contemporaneo per trovarvi elementi utili a comprendere e decifrare anche il presente del nostro paese, e intervenirvi: il primo allestimento di quello che, nella traduzione italiana, è diventato Il seme della violenza avvenne nel giugno 2021, ai tempi della discussione in parlamento sulla legge Zan, il che rendeva più evidente la volontà di ritrovare in questo testo echi che potessero risuonare anche nel dibattito pubblico del nostro paese.
Il connubio naturale tra Elfo e The Laramie Project derivaanche dai ripetuti riferimenti ad Angels in America che si trovano nel testo di Kaufman e che creano un rimando a una pièce che costituisce uno storico cavallo di battaglia della compagnia milanese.
Non tutto, per la verità, nello spettacolo che abbiamo visto nei giorni scorsi (con la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia), è convincente. La congenita frammentarietà del testo, nel quale ciascun personaggio prende voce per momenti spesso brevi o brevissimi, si è tradotta in qualche momentaneo calo di tensione: incarnando una pluralità di personaggi, gli interpreti non sempre ci sono apparsi del tutto credibili nel rendere atteggiamenti e accenti di uomini e donne del Wyoming e in alcuni casi lasciavamo emergere qualche tratto caricaturale.
Il seme della violenza resta però uno spettacolo interessante, sia per il suo valore di testimonianza sia per la riflessione metalinguistica che sviluppa intorno al rapporto tra personaggio, interprete e spettatore e intorno alla capacità del teatro di interrogare il pubblico attraverso le emozioni e l’empatia. Lo spettatore è indotto a riflettere sulla sua distanza e sulla sua identificazione, motivi ricorrenti nelle parole dei vari personaggi.
Foto © Laila Pozzo