Derek Trucks e Susan Tedeschi incantano l’Alcatraz con due emozionanti ore di blues
Un bambino, dall’alto delle spalle del padre, tiene il tempo muovendo le braccia in aria e, quando il padre cerca un momento di riposo e cerca di farlo scendere, lo ferma e continua a ballare e a sorridere dall’alto. A pochi metri da lui, sul palco, la Tedeschi Trucks Band sta dando lezioni di blues ad un Alcatraz ipnotizzato dalle dita di Derek Trucks che vanno su e giù per il manico della sua Gibson SG e dalla voce graffiante di Susan Tedeschi, che illumina il palco con il suo abito argentato e la chitarra al collo.
Derek Trucks ha un effetto magnetico: è sufficiente una sua nota per svegliare le orecchie del pubblico e portare gli occhi di tutti sulla sua chitarra. Eppure non ha l’atteggiamento della star, non si prende mai il centro della scena. Anzi, quando fa un passo in avanti è soltanto per dare indicazioni a Susan e per “lasciare” a lei l’assolo. Trucks ha ormai raggiunto la maturità artistica e la fine dell’esperienza come chitarrista della Allman Brothers Band di zio Butch Trucks – di cui ha fatto parte per quindici anni, dal 1999 al 2014 – gli ha permesso di dare un’impronta ancora più personale alla sua band, e l’ultimo album, Let me get by (Fantasy, 2016), lo dimostra pienamente.
Trucks è la mente e il motore della TTB. È il direttore che chiama pause, ingressi, soli e finali agli altri musicisti. L’alchimia tra i membri della band è massima e si vede soprattutto quando si avvicina alle tastiere di Kofi Burbridge, unico superstite insieme al vocalist Mike Mattison della pluripremiata Derek Trucks Band, per seguire con contrappunti e fraseggi i suoi soli. Lo stile di Derek Trucks, che nel 2011 è stato nominato come 16° miglior chitarrista di sempre dalla rivista Rolling Stone, è unico: il suo modo di suonare usando solo due o tre dita della mano destra mentre la sinistra muove lo slide lungo il manico è ipnotico, e non solo per il pubblico in platea.
Dopo aver scaldato il pubblico con Laugh about it, Don’t know what it means e con le cover di Anyday (dei Derek & The Dominos di Eric Clapton) e The Letter (nella splendida versione di Joe Cocker di Mad Dogs & Englishmen), la band esegue Made up mind, il brano che dà il titolo al secondo album della TTB, uscito nel 2013. È il momento del solo di chitarra: Derek Trucks fa un passo indietro, avvicinandosi al bassista Tim Lefebvre, e dà sfogo al suo talento, nessuna nota fuori posto. È sufficiente allargare lo sguardo per accorgersi che tutti gli altri 11 musicisti hanno lo sguardo fisso su di lui, incantati dal carisma musicale del leader della band.
Se Derek Trucks è la mente della TTB, Susan Tedeschi è il sorriso e la parola. È lei a prendersi il centro del palco e salutare la folla con una voce esile e solare, che diventa ruggente e graffiante quando sul palco si accende il blues. La voce di Susan è un martello capace di sollevarsi in aria, di volteggiare qualche secondo e poi di colpire con forza, sia nei brani originali, sia nelle cover. E, nel giorno del saluto a uno dei maestri del rock ‘n’ roll, Chuck Berry, la TTB omaggia prima George Harrison con Isn’t it a pity, poi B.B. King, con cui Derek e Susan hanno avuto l’onore di dividere in più occasioni il palco.
Ma con Derek e Susan sul palco ci sono altri dieci musicisti eccezionali. Detto di Kofi Burbridge alle tastiere, Tim Lefebvre al basso e Mike Mattison, che ora affianca Susan in prima linea come voce solista, ora accompagna dalle retrovie come corista insieme a Alicia Chakour e Mark Rivers, la band è completata dalla sezione fiati, con Elizabeth Lea al trombone, Ephraim Owens alla tromba e Kebbi Williams al sassofono, e dalla doppia batteria di allmaniana memoria. Dietro i tamburi, Tyler Greenwell e J.J. Johnson sono coordinati alla perfezione e danno una profondità unica all’esecuzione. Ciascun membro della band ha il suo momento di gloria sul palco. Anche in questo caso, nessuno è fuori posto: ogni solo ha la sua funzione all’interno del brano o all’interno dello show. In una famiglia è giusto anche questo: dare il giusto spazio a tutte le componenti, anche quando il virtuosismo personale devia leggermente dai binari tracciati (ed è il caso del solo di sassofono o del doppio solo di batteria).
È comunque sempre Derek Trucks a dettare i tempi e a tirare le fila dello show. Lo fa in silenzio, chiamando cambi e soli semplicemente con un cenno della testa o con uno sguardo. E quando, durante la cover finale di Had to cry today dei Blind Faith, Susan non riprende a cantare dopo un solo, è ancora una volta Derek a darle il tempo di prendere fiato con un altro solo mozzafiato, prima di gridare “chorus” e chiudere il pezzo con una naturalezza spaventosa.
Lo show si chiude dopo quasi due ore di musica e una quindicina di brani che, se mai ci fosse stato qualche dubbio, confermano la Tedeschi Trucks Band come una delle realtà migliori nel mondo del blues e del southern rock, e Derek Trucks come uno dei chitarristi più innovativi e talentuosi degli ultimi venticinque anni.
Immagine di copertina www.tedeschitrucksband.com