“Ogni giorno è per il ladro”, il primo romanzo dell’autore nigeriano narra il ritorno di un giovane psichiatra a Lagos dopo quindici anni vissuti a New York
I luoghi cui apparteniamo non smetteranno mai di abitarci. Soprattutto se li lasciamo. Questa condizione, di sradicamento e possesso, di repulsione e passione, è il sentimento che emerge più nitido dal nuovo romanzo di Teju Cole e che accompagna il narratore nelle settimane del suo ritorno a Lagos, in Nigeria, dopo quindici anni di vita a New York, dove ha proseguito gli studi e si sta specializzando in psichiatria.
Il libro di Teju Cole non può dirsi esattamente autobiografico: Cole non è un medico, e il protagonista di Ogni giorno è per il ladro, scritto nel 2007 ma pubblicato in tutto il mondo solo nel 2014, è lo stesso alter ego che percorrerà quattro anni più tardi le strade labirintiche di Città aperta, il romanzo con cui Teju Cole ha esordito nella letteratura internazionale, e per cui non si contano gli elogi, i paragoni («l’Ulisse” del nuovo millennio»), le traduzioni e i riconoscimenti. Due libri per molti versi simmetrici e complementari che si diramano dallo stesso nucleo di tensioni, su traiettorie sono apparentemente opposte: se il primo è il romanzo di un ritorno, il secondo è il romanzo di un esilio.
È significativo, in questo senso, che sia New York la stessa città aperta da cui prende avvio anche Ogni giorno (e in cui si conclude) mentre il narratore cerca di rinnovare il suo passaporto presso l’ambasciata: cellula di Nigeria in corpo americano, già in questi uffici il narratore si scontra con la pervasività della corruzione, esercitata, come in una sorta di domino sociale, da cittadini di ogni genere e in qualsiasi ambito.
Il protagonista di Cole è un uomo giovane e colto, figlio di un nigeriano e di una tedesca, fuggito dal paese poco dopo la morte del padre per ragioni che il libro volontariamente lascia ai margini: i brevi accenni al rapporto troncato e mai ripreso con la madre, il ricordo dell’istruzione di alto livello – condizione assai privilegiata dentro a una società con un bassissimo livello di alfabetizzazione -, la ricerca di un orizzonte di possibilità, sono i pochi riferimenti che abbiamo a disposizione per comprendere la natura dello sguardo che dopo quindici anni di lontananza indaga gli uomini e le donne di Lagos, i suoi autobus e mercati, le case, gli internet point, le pompe di benzina, le scuole.
Se il lirismo letterario convive con il linguaggio asciutto e schietto, pretendendo di darsi un distacco quasi giornalistico, la rabbia, l’incredulità e l’insofferenza costante che il protagonista nutre nei confronti delle regole sociali ed economiche fanno di Ogni giorno qualcosa di molto diverso da un reportage dalla Nigeria.
Anche l’apparato fotografico (che forse avrebbe meritato una riproduzione più accurata) rivela la doppia tensione che anima la narrazione. Si percepisce infatti quanto l’intento documentaristico abbia di volta in volta risentito delle condizioni in cui le fotografie sono state scattate: fuori fuoco, sovraesposte, angolari, descrivono perfettamente la sensazione del pericolo, di un furto o di una possibile aggressione, e l’inclinazione malinconica, introflessa e polemica dello sguardo.
La povertà, i blackout notturni, la carenza di acqua, le truffe on-line, le rapine, la prossimità con la violenza, l’assenza di regole, la diffusione dei fanatismi, le esasperazioni di un’economia informale in cui anche la religione diventa business e la ricchezza non riesce neanche a creare divari sociali tanto è episodica, non sono mai solo oggetti di osservazione, ma sempre innesti di sentimenti e memoria, luoghi da cui emergono le contraddizioni irrisolte tra l’uomo che se ne è andato e l’uomo che ritorna, tra l’uomo che se ne andrà di nuovo, e quello che resterà comunque.
“Ogni giorno è per il ladro” di Teju Cole (Einaudi pp. 142, 16,00 euro)
Foto di Teju Cole