Il male è l’ansa di un fiume: The Choke di Sofie Laguna.

In Letteratura

Una bambina circondata da una terra immensa e solitaria. Il silenzio degli adulti incapaci di spiegare. L’ammorbante senso di una colpa innata. Pessime Idee Edizioni pubblica il romanzo dell’australiana Sofie Laguna: The Choke – dove il fiume si stringe, è un romanzo di formazione nel quale crescere significa fare esperienza del male.

Cosa succede a una bambina di dieci anni a cui nessuno fornisce le parole per comprendere la realtà che la circonda? Nel caso di Justine, protagonista di The Choke – dove il fiume si stringe dell’autrice australiana Sofie Laguna, si finisce per avere tante domande aperte e per conoscere soltanto l’ombra delle cose, almeno finché un mondo composto da sbagli altrui non irrompe con forza e brutalità nella sua vita, costringendola a capire da sola quello che non le era stato spiegato.

Cos’era che scorreva nelle vene di papà, se non sangue? Era la stessa cosa che scorreva nelle vene dei giapponesi? Scorreva anche nelle mie? Era per quello che ero nata al contrario? Avrei saputo leggere se avessi avuto un padre diverso, con un sangue diverso? Mia madre l’avrebbe preso lo stesso il treno per Lismore? Non avevo mai le parole per chiederlo a qualcuno, perciò non avevo mai le risposte.

Justine, nella prima parte del romanzo pubblicato da Pessime Idee Edizioni, racconta la sua infanzia trascorsa durante gli anni Settanta sulle rive del Murray, nell’entroterra australiano dominato dai bush e dagli spazi sconfinati, tra cacatua e kookaburra. Il choke del titolo è una strozzatura del fiume, un punto in cui le rive si avvicinano e che rappresenta il rifugio di Justine. Ma choke è anche un termine che viene usato nel linguaggio della strategia militare: i choke points sono i passaggi marittimi, come gli stretti, che favoriscono la difesa bloccando l’avanzata dei nemici.

Abbandonata dalla madre a tre anni, Justine si convince di essere lei stessa il motivo della fuga a causa del dolore che la sua nascita al contrario, in posizione podalica, ha provocato alla donna. Viene accolta dal nonno, prigioniero durante la Seconda Guerra Mondiale costretto ai lavori forzati sulla ferrovia tra Birmania e Siam, che continua a lottare non soltanto con i fantasmi dei soldati giapponesi affrontati in passato, ma anche con un misterioso parassita che brucia al suo interno, che lui cerca di affogare nell’alcol delle innumerevoli birre che sempre lo accompagnano. Il padre di Justine è pressoché assente, costringendo la figlia a continue attese e abbandoni: compare all’improvviso per brevi periodi e subito si dilegua lasciando come traccia della sua presenza qualche camicia e un unico insegnamento, impartito alla figlia per permetterle di badare a sé stessa e difendersi da quelli che vogliono tutti la stessa cosa, senza chiarire a Justine la realtà a cui fa riferimento la sua frase.

Ray era mio padre. Cavalcava un cavallo di nome Silver e sapeva usare una pistola. Era l’unica cosa che mi aveva insegnato. Non aveva nient’altro da insegnarmi.

Gli adulti che si muovono all’interno della quotidianità di Justine non si preoccupano di trovare le parole per spiegarle il mondo e le azioni altrui. Rita, sorella di Ray, l’unica che potrebbe farlo, viene costretta a tenersi lontana e le parole delle sue lettere, spedite ma mai consegnate alla nipote, vengono messe a tacere proprio dal nonno che ripudia la figlia per via dell’omosessualità che considera come una condizione contro natura.

La solitudine di Justine viene mitigata dalla presenza di un unico amico, Michael, che a causa della sua disabilità viene tenuto ai margini della vita di classe come la protagonista stessa, incapace di leggere a causa della dislessia di cui soffre e di cui neanche le insegnanti si rendono conto.

Con cosa comincia ragazza, Justine? Pensa. Riesci a trovare la parola che comincia con r?” diceva la Bettsbower. Io cercavo e cercavo, ma non vedevo una sola parola che cominciasse con la lettera r. Ne vedevo altre: onos, ottag, obmib, oi, elos. Ma di ragazza non c’era traccia. La maestra si era accigliata e aveva detto: “Torna al tuo posto, Justine.” […] La maestra Bettsbower diceva che la parola era lì, davanti ai miei occhi. Ma io non l’avevo trovata. Da allora non avevo più alzato la mano.

Ero nata al contrario, era quello il problema. Anche le parole erano al contrario. Come me.

Nella seconda e ultima parte di The Choke – dove il fiume si stringe Justine ha tredici anni, ma quello che viene raccontato non è l’ingresso della protagonista nell’età adolescenziale, bensì il suo essere catapultata all’interno della vita adulta attraverso la violenza di un abuso. La bravura di Sofie Laguna consiste soprattutto nel far conoscere al lettore le vicende attraverso gli occhi di una ragazzina che osserva le ombre delle cose senza riuscire a dare loro un nome preciso, costretta a comprendere da sola cosa le è stato fatto. Ed è proprio la brutalità descritta con dolcezza a rendere ancora più cruda la realtà che la giovane protagonista è costretta a subire.

Justine” disse. “Chi ti ha fatto questo?”
Non lo sapevo. E allo stesso tempo lo sapevo. Era qualcosa che era successo quella sera al fiume.
[…]
Ricordavo soltanto frammenti della serata – l’acqua, le stelle, la macchina, un peso sopra di me – ma cosa mi avevano fatto? Era quello di cui parlavano Julie e Annette? Cominciai a piangere. Non sapevo le cose, eppure le sapevo.

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