A metà tra Philip Dick e Kurosawa, il regista Gareth Edwards si misura con tutti i caratteri tipici del genere, dalle protesi meccaniche della s/f cyberpunk al rapporto di amore-odio tra umani e robot che fa tanto Asimov. Il talentoso 49enne autore inglese, già alle prese con mostri sacri come Godzilla e “Star Wars”, anche qui non rinuncia al suo stile. Valorizzando con sicurezza da veterano un mondo futuristico e ancestrale arricchito dalle immagini, reali e attraenti, di Vietnam, Cambogia, Nepal
Una cosa bisogna riconoscere a Gareth Edwards: il coraggio non gli manca affatto. Dopo un esordio piuttosto promettente nella fantascienza indie con Monsters, eccolo subito sbattuto in prima linea, a vedersela con mostri sacri (anche letteralmente) come Godzilla e nientemeno che l’universo di Star Wars. Il tutto riuscendo nella doppia impresa di non scontentare i fan storici di entrambe le saghe e anzi, soprattutto nel caso di Rogue One: A Star Wars Story, riuscendo a mettere in piedi quello che ancora oggi è ritenuto il migliore spin-off, se non addirittura uno dei migliori episodi della serie. Ma, cosa ancora più evidente fin dal primo vero blockbuster Godzilla, capitolo inaugurale e più riuscito del monsterverse della Warner Bros, nonostante la posta in gioco Edwards non ha mai rinunciato a metterci del suo, con lo stile e la sicurezza di un veterano già affermato e con le idee ben chiare in testa.
Attitudine confermata in pieno anche dal nuovo The Creator, prodotto stavolta del tutto originale, sfornato un po’ a sorpresa (il trailer diffuso online ha spiazzato gli stessi fan del regista) e strampalato ma genuino quanto basta per essere decisamente interessante. A metà tra Philip K. Dick e Akira Kurosawa, con quei toni classici e naif da film anni ’80, in cui tutto o quasi va come deve andare, il quarto lungometraggio del quarantanovenne inglese è un omaggio-raccoglitore a tutto il fantasy americano e asiatico della sua e nostra infanzia. Ogni tanto si perde o sbanda lungo la strada, soprattutto nella sceneggiatura bucherellata qua e là e nei dialoghi un po’ didascalici, ma senza mai togliere davvero le mani dal volante o il piede dall’acceleratore.
D’altro canto, a rendere The Creator degno di essere visto non è tanto la trama, che mescola tutti i caratteri tipici del genere, dalle protesi meccaniche della fantascienza cyberpunk al rapporto di amore-odio tra umani e robot che fa tanto Asimov, fino alla più classica della basi spaziali da distruggere prima che faccia fuoco contro i rifugi dei ribelli (ricorda qualcosa?). E non è nemmeno il cast, in cui curiosamente brillano, anzi lampeggiano, le uniche tre stelle hollywoodiane presenti: John David Washington (già protagonista di Tenet, praticamente con lo stesso personaggio), il premio Oscar Allison Janney, sprecatissima in una parte palesemente non sua, e il solito Ken Watanabe, ormai imprigionato sempre e comunque nei panni del samurai da grande schermo. Il vero punto di forza del film di Edwards è il mondo incredibile che, un’inquadratura spettacolare dopo l’altra, viene mostrato in ogni scena, in un costante mix di futuristico e ancestrale.
Secondo le parole dello stesso regista e sceneggiatore, The Creator non è “un kolossal a basso budget”, ma piuttosto “il film indipendente più ambizioso di sempre”, girato interamente senza green screen, limitandosi ad aggiungere in CGI elementi tecnologici ed edifici avveniristici alle meravigliose location di paesi come Thailandia, Vietnam, Cambogia, Nepal, Giappone e Indonesia. La mossa è decisamente azzeccata: l’efficacia visiva fa da contraltare quanto basta a una trama che rischia a più riprese di smarrirsi nel continuo rimescolamento di carte, alla ricerca di elementi originali in un campo già fin troppo battuto. Eppure, tra templi buddisti popolati da monaci cyborg e costruttori di robot dall’istinto materno, anche il visto e rivisto (per quanto attualissimo) dibattito sul diritto alla vita dell’intelligenza artificiale, con la classica morale del “più umano dell’umano”, assume una dimensione nuova, più filosofica, se non addirittura spirituale.
Non è abbastanza, forse, ma è sicuramente un buon inizio. Finora gli interventi su franchise già affermati avevano contribuito a creare attorno a Gareth Edwards l’aura del predestinato, capace di giocare con il fuoco senza scottarsi e, anzi, migliorando quel che già a tanti andava bene così. La prima opera a mano totalmente libera del regista ci restituisce, in più, un autore visionario e promettente anche se ancora acerbo, insieme giustamente devoto e irrimediabilmente intrappolato, almeno per ora, nel solco dei suoi predecessori. The Creator non è un brutto film, anzi: proprio per questo, però, d’ora in poi sarà lecito attendersi qualcosa in più.
The Creator di Gareth Edwards, con John David Washington, Allison Janney, Ken Watanabe, Madeleine Yuna Voyles, Gemma Chan, Sturgill Simpson