Andrea Paco Mariani documenta il mondo dei braccianti sottopagati e sfruttati che vengono dal subcontinente indiano e lavorano, 14 ore al giorno a 3 euro e 50 l’ora, nei campi dell’Agro Pontino. Molti di loro prendono anfetamine e altre “droghe” per reggere la fatica quotidiana: lui li racconta alternando interviste e mini-video, cantati e danzati, come in un piccolo film di bollywood all’italiana
Tra le molte cose drammatiche che scoprirete se andate a vedere The Harvest, il serissimo (ma tutto sommato anche divertente) docu-musical di Andrea Paco Mariani sullo sfruttamento dei braccianti sikh che dal subcontinente indiano vengono a lavorare nell’Agro Pontino, non lontano da Roma, a due passi dalla (architettonicamente) fascista Latina, c’è il loro uso frequente e sistematico di sostanze stupefacenti. Nel senso che “si drogano” per lavorare, anche 14 ore al giorno, pagati 3 euro e 50 l’ora: per reggere i ritmi della raccolta di ortaggi a frutta poi in arrivo sulle nostre tavole grazie alla grande distribuzione, assumono – difficile credere nell’ignoranza dei loro datori di lavoro, vista la diffusione del fenomeno – oppio, anfetamine e antispastici. Lo testimonia anche, con ricchezza di elementi, il dossier “Doparsi per lavorare come schiavi”, pubblicato nel 2014 dalla cooperativa In Migrazione che ha anche “prestato” due suoi dirigenti al film, Marco Omizzolo e Simone Andreotti, intervistati su questa e altre scomodissime verità del way of work dell’Italia 2017.
Racconta un testimone “Molti indiani hanno dolori fortissimi alla schiena, alle mani, al collo, e agli occhi perché sul viso hai sempre terra, sudore e anche prodotti chimici, veleni. Ma dobbiamo lavorare per forza. Se chiedo un giorno di riposo il padrone mi sostituisce con un altro bracciante indiano. Sono sette anni che faccio questa vita. Alcuni che lavorano con me prendono una piccola sostanza, una o due volte al giorno, così smettono di sentire i dolori e continuano a lavorare senza rallentare. La prendono per non sentire la fatica ed essere chiamati di nuovo dal caporale, il giorno dopo, a lavorare”.
Comincia ad essere consistente il pacchetto di film che a partire da Il sangue verde, che nel 2010, grazie alla regia di Andrea Segre e all’aiuto di Amnesty International, raccontò gli scontri e le violenze di pochi mesi prima a Rosarno. Tre anni dopo alla Mostra del Cinema di Venezia arriva Schiavi, documentario di Stefano Mencherini, un’inchiesta più generale sulle condizioni drammatiche di molto lavoro straniero in Italia. Di recente l’elenco si infittisce con Santi caporali ambientato da Giuseppe Pezzulla nei ghetti della Puglia e Jululu di Michele Cinque sulla figura di Yvan Sagnet.
Ora ecco The Harvest, prodotto dalla SMK Videofactory costato 60mila euro metà dei quali raccolti con il crowfunding, e già passato con successo e interesse a vari festival in India, Olanda, Polonia. A Bella Farnia, frazione di Sabaudia (Latina), c’è una grossa comunità di sikh (circa 30mila persone, in tutto l’Agro Pontino). Sono in gran parte occupati nella filiera agro-alimentare, industria che in Italia arriva oggi a fatturare oggi 250 miliardi di euro. Il loro lavoro è sottopagato, la non conoscenza della lingua riduce la consapevolezza dei (pur pochi, di fatto) diritti che comunque hanno, i caporali locali dettano legge spesso con la connivenza di qualche loro connazionale e l’infiltrazione di organizzazioni criminali più grandi ha introdotto metodi mafiosi e intimidatori verso chi si ribella.
Il 35enne Mariani , che ha già girato documentari sul lavoro nei centri commerciali e sul lato sporco dell’energia pulita, ha scelto di raccontare tutto questo, non tralasciando come si vede i lati peggiori della situazione, con uno stile che si avvicina alla cultura del suo soggetto: così, in mezzo a interviste e spezzoni che illustrano quelle vite dure, ha inserito brani musicali, quasi dei video danzati e cantati dai cinque ballerini del complesso Banghra Vibes (anche loro di origine indiana ma residenti tra Cremona e Mantova), come a voler ricostruire in parte il tessuto del musical bollywoodiano. Effetto “spettacolare” aumentato dalle musiche dei bresciani SlickSteve & The Gangsters che accompagnano in più punti il film.
Dunque si racconta di Gurwinder, bracciante che si è fatto la fama, dopo molte denunce delle angherie cui è stato sotto posto, del rompiscatole – e fa quindi fatica a trovare lavoro – e di Hardeep, mediatrice culturale di padre punjabi ma dal forte accento laziale, che lavora ogni giorno per avvicinare indiani e italiani. E si vede il non gradevole mondo intorno a loro, che in fondo non è poi tanto cambiato neanche dopo l’approvazione della legge della Repubblica contro il caporalato, nell’autunno 2016. The Harvest, il raccolto, a Milano il 15 febbraio al Cinema Oberdan e il 20 al cinema beltrade, e a Roma dal 17 al Cinema Corso, è un’opera civile e originale, e in cui – come accade all’interno del “tempio”, il luogo in cui i sikh si ritrovano a pregare e socializzare – tutti, dai realizzatori agli attori agli intervistati, hanno un loro forte peso narrativo.
The Harvest, documentario di Andrea Paco Mariani, con Gurwinder, Hardeep, Marco Omizzolo, Simone Andreotti