Kristina Grozeva e Petar Valchanov, coppia esordiente nella regia, raccontano la quotidiana via crucis di una severa professoressa nella Bulgaria d’oggi. Un racconto che via via perde ogni dimensione realistica per trasformarsi in incubo a lieto fine, tra Bresson e i Dardenne. Morale ma non moralistico
Nadia, la protagonista di The Lesson, insegna inglese in una grigia cittadina bulgara e ogni giorno combatte contro l’apatia dei suoi studenti, fra i quali si cela anche un piccolo ladruncolo che si diverte a infilare le mani nelle tasche e nelle borse altrui. Scoprire l’identità del ladro diventa per Nadia un punto d’onore, un’autentica fissazione che si traduce in lunghe schermaglie, minacciosi interrogatori e persino stratagemmi di dubbio gusto. Insomma, quella che ci viene mostrata fin dalle prime scene è una vera e propria ossessione per la giustizia. Quanto mai pericolosa, in un mondo profondamente ingiusto come quello in cui si muove la protagonista.
Perché finché rimane dentro il perimetro della scuola, Nadia ci appare in effetti forte, energica, capace di esercitare un deciso controllo sul mondo attraverso la ferrea disciplina che impone ai suoi allievi. Ma appena fuori dall’aula scolastica, tutto questo universo di presunte certezze crolla immediatamente. Nadia si rivela una donna fragile, che vive all’ombra di una madre morta, la cui fotografia gigantesca incombe come un monito su una delle pareti di casa, e nell’ostinato rancore verso un padre la cui unica colpa sembra quella di aver preteso di continuare a vivere trovandosi un’altra compagna.
Nadia è una donna quietamente infelice in balia di un marito alcolizzato e inetto, tanto bravo a raccontare fiabe per addormentare la figlia bambina quanto incapace di farsi carico delle responsabilità della vita adulta. Proprio grazie ai suoi errori, la famiglia viene infatti a trovarsi sull’orlo del baratro: il conto in banca vuoto, la casa a un passo dal pignoramento. Toccherà a lei prendere in mano la situazione: ma ogni tentativo di trovare una soluzione ai problemi, sembra aprire nuove voragini. I soldi presi a prestito da un usuraio sono infatti solo la prima tappa di un’autentica via crucis, che la protagonista affronta sola, con inesauribile energia nonostante l’accumularsi di un’infinita serie di sventure e disgrazie.
Potrebbero sembrare troppe, queste sventure, se si guardasse a questo film come a uno spaccato realistico della vita in Bulgaria oggi. Ma non è questo l’intento dei registi (la coppia formata da Kristina Grozeva e Petar Valchanov, all’esordio nel lungometraggio). Quello in cui sprofonda la protagonista è infatti un autentico incubo, che perde via via le caratteristiche di aderenza alla realtà quotidiana per rivelarsi un universo kafkiano senza apparente via d’uscita. Un mondo chiuso e votato all’infelicità, raccontato in un apologo triste ma non sconsolato. Nadia in lingua slava vuol dire “speranza”, ed è difficile pensare che sia stato scelto a caso come nome della protagonista, alla quale l’attrice Margita Gosheva presta un’intensità rara.
È un cinema che ricorda quello dei fratelli Dardenne per la capacità di prendersi cura della realtà esercitando la più profonda empatia ma tenendosi a distanza, raffreddando l’inquadratura ed evitando di esprimere giudizi, ma occhieggia anche al Bresson di L’argent, per la capacità di proporre uno sguardo sul mondo profondamente morale ma mai moralistico.