Michel Hazanavicius racconta la sporca guerra di Cecenia sui volti delle innocenti vittime civili: i bambini, le donne e chi cerca, inascoltato, di aiutarli
Ci sono storie che vanno raccontate per quello che sono. E sono le storie che non vorremmo mai ascoltare, le più difficili, senza buoni e cattivi, e se c’è un lieto fine sa solo di tregua. (Ri)scoppiata nel 1999 con la motivazione ufficiale della lotta al terrorismo, quella in Cecenia è una guerra dimenticata, scomoda, difficile da capire, da inquadrare.
L’unico modo per metterla su pellicola, è partire da ciò che è innegabile, comunque lo si guardi: la brutalità del suo “fronte interno”, il terribile coinvolgimento della popolazione civile, la violazione sistematica dei diritti umani tra saccheggi, stupri, rapimenti, rappresaglie da ambo le parti.
Da qui comincia The Search di Michel Hazanavicius, presentato a Cannes nel 2014 e remake dell’omonimo film del 1948: racconta l’intreccio di persone costrette a ricominciare, famiglie divise da macerie e oscuri riti di passaggio all’insegna della violenza più ingiustificata e feroce.
Nel riprendere la vita al fronte, il war movie di Hazanavicius è un Full Metal Jacket senza ironia, uno Schindler’s List senza retorica. Persino i Balcani di Kusturica sono lontani anni luce: non c’è musica, qui, se non quella di un piccolo stereo, a cui abbracciarsi come a un salvagente. Non c’è umorismo, se non la risata isterica di menti umane spinte allo stremo.
The Search è un film freddo, scuro, tagliente, leggero solo quando ai colpi d’accetta del soldato russo Kolia (Maxim Emelianov), che da ragazzo diventa uomo a suon di botte, sostituisce le pennellate sottili del rapporto tra Hadji (Abdul-Khalim Mamatsuiev, bravissimo), bimbo ceceno in fuga dalla guerra e dai ricordi, e Carole (Bérénice Bejo), capodelegazione dell’Unione Europea, impegnata a raccogliere testimonianze che nessuno ascolterà mai.
Perché dietro l’epica degli American Sniper, capaci di tramutare conflitti troppo reali in western da giostra, poi c’è la guerra che nessuno racconta, quella vera, che non produce eroi da copertina ma solo sopravvissuti invisibili, e morti da seppellire in fretta.
Hazanavicius, premio Oscar con The Artist, non è però un documentarista, né pretende di esserlo: e per quanto il sobrio taglio di regia e fotografia scongiuri il pericolo di un Oliver Twist formato fiction familiare, la sua è un’opera pensata per colpire allo stomaco dal primo all’ultimo fotogramma.
Nella Cecenia del regista francese (che viene da una famiglia ebrea askenazita) si respira l’Olocausto del Maus di Spiegelman, scandito dal pianto dei neonati, dallo scalpiccio degli scarponi nel fango, dal rumore sordo di colpi sparati a freddo su chi non può difendersi.
The Search non è un film piacevole, ma va visto e fatto vedere. Anche solo per lo sguardo di Hadji, piccolo ceceno errante, muto contrappunto a un orrore troppo brutto per ricamarci sopra.