L’uomo dell’Alcatraz domani sera sarà lui, Kristian Matsson, in arte The Tallest Man on Earth. Fenomenologia di un folksinger
Dimenticate tutti i confronti musicali che sono stati fatti su Kristian Matsson. Dimenticate quelli che lo hanno paragonato a Bob Dylan, quelli che in lui hanno visto uno stile che ricorda gli esordi di Bruce Springsteen, quelli che “spesso le sue sonorità sono simili a quelle di Nick Drake”. Per quanto i paragoni ci aiutino a comprendere meglio il lavoro di un artista, spesso ci portano fuori strada. Ed è questo il caso.
Quindi, proviamo a rispondere alla domanda: chi è Kristian Matsson, meglio conosciuto come The Tallest Man on Earth, che avremo modo di ascoltare domani sera all’Alcatraz? Per cercare di capirlo possiamo partire proprio dal nome d’arte che si è scelto: “l’uomo più alto del mondo”. A un giornalista di Rolling Stone che gli chiedeva spiegazioni, il cantante ha risposto «L’ho scelto perché è un nome stupido. Con un nome come questo ti devi sforzare di scrivere belle canzoni e di fare bei concerti, altrimenti questo nome ti farà sembrare parecchio stupido».
Per quanto sia insolita, questa convinzione ha portato Matsson a compiere un enorme lavoro su se stesso e lo ha reso un abile performer in grado di scrivere testi intimistici e personali, di usare la sua voce graffiante per colpire direttamente il pubblico e lo ha reso una delle novità musicali più interessanti del panorama folk internazionale.
E questa formula ha funzionato, almeno per un po’. I primi tre album di Matsson – Shallow Grave (2008), The Wild Hunt (2010) e There’s No Leaving Now (2012) – hanno portato una ventata di aria fresca in un genere che in Europa non è tanto sviluppato (almeno non quanto in America, la patria del folk). Si tratta di tre album ben strutturati, che mostrano tutta la maestria di Matsson come compositore e la sua grande semplicità negli arrangiamenti; melodie orecchiabili, temi intimistici e familiari. Tutto ciò che gli serviva per conquistare il suo pubblico erano la sua voce graffiante e la chitarra.
Poi c’è stata la svolta. Adesso Mattson sta cercando di fare cose nuove, ma senza dimenticare le sue radici. In effetti ogni artista che vuole avere successo deve prima o poi dimostrare di essere in grado di evolversi e di non essere sempre uguale a se stesso. La sperimentazione è l’anima stessa della creatività. Proprio per questo il suo ultimo album, Dark Bird is Home (2015) prova a muoversi in questa direzione e a toccare nuove vette, da lui inesplorate. Buono il tentativo, un po’ meno la pratica.
Sì, perché nonostante gli arrangiamenti, le melodie più ricercate, la band di supporto e gli archi, The Tallest Man on Heart non emoziona più come faceva un tempo; Matsson propone un cambiamento, sì, ma troppo lieve. Si tratta di melodie già sentite, di sonorità che non si differenziano troppo dalla sua vecchia produzione. Il risultato è un né caldo né freddo, è un “vorrei però non posso”. E mentre il suo pubblico si consola con i suoi vecchi pezzi, tutti speriamo che nel suo prossimo lavoro faccia quel passo in più che gli permetta di raggiungere la maturità artistica.
The Tallest Man on Earth sarà in concerto all’Alcatraz il 15 ottobre
Immagine di copertina di t-dawg