Il ceco Jan Hrebejk – in passato candidato all’Oscar – disegna in “The Teacher” una figura spregiudicata di donna potente grazie a Zuzana Mauréry, premiata a livello europeo per il ruolo. Negli anni finali del Partito al potere, istituisce un suo piccolo feudo scolastico di dubbia morale e molto tornaconto personale. Dimostrando di poter dividere e comandare alunni e genitori, e di sopravvivere alla caduta del Muro. Ripresentandosi, dopo aver sposato il vincente liberismo, con gli stessi metodi e abiti che l’avevano favorita nell”ancien régime”, decisa a continuare a godere degli stessi privilegi
L’etica della (e nella) scuola, quella insegnata e agita da studenti e insegnanti, ma anche l’etica e la scuola nella realtà socioculturale in cui la le istituzioni didattiche si inseriscono, interagendo con altre istituzioni (pubbliche), soggetti anche privati, e soprattutto singoli e famiglie: sono temi complessi, importanti, che oggi paiono interessare la cinematografia dell’est europeo più di quella dell’altro emisfero (con lodevoli eccezioni, come il francese La classe). Se nel suo ultimo Un padre, una figlia il rumeno Cristian Mungiu parte dall’aggressione subita in un cantiere da una ragazza, la mattina dell’esame di maturità, per raccontare i compromessi col potere che un padre è disposto ad accettare per garantire alla figlia un futuro, scolastico e poi lavorativo di eccellenza, nel bulgaro Lesson – A scuola di vita di Kristina Grozeva una giovane insegnante affronta con durezza il probabile giovanissimo autore di un furto ai danni di un altro alunno, ma poi si ritrova a dover fare i conti con ricatti e bassezze, ben più profondi, che la società vorrebbe imporle nella vita privata quando cerca di rimediare ai guasti economici provocati dalle azioni di un marito inetto.
Il praghese Jan Hrebejk, la cui carriera 25ennale vanta anche una candidatura all’oscar al miglior film straniero nel 2001 grazie a Divided We Fall, sposta ora con The Teacher il suo interesse dalla contemporaneità alla storia del suo paese, ambientando a Bratislava (nel tempo del film città cecoslovacca, ora capitale dell’altra metà del paese boemo) le dubbie “imprese” di Maria, emblema di un falso egualitarismo che nasconde privilegi e prevaricazioni, personaggio manipolatore per il quale l’ottima protagonista Zuzana Mauréry è stata premiata al Festival di Karlovy Vary. Siamo nel 1983, e si cominciano a sentire gli scricchiolii dei muri “comunisti” che presto sarebbero crollati, ma il potere assoluto di questa giovane e vivace insegnante, dalle ampie gonne e dai tacchi charleston, sembra ancora assoluto. Vedova di un alto ufficiale, rappresentante del Partito nella scuola, dispensa bei voti e promozioni ai suoi alunni e alunne in base alla disponibilità dei loro genitori a farle piccoli e grandi favori. Dal taglio dei capelli all’aiuto a fare la spesa, fino al più rischioso “contrabbando” aereo di una torta da recapitare a Mosca alla sorella. E il dubbio slogan che contribuisce a diffondere, “che male c’è ad aiutarsi l’un l’altro”, in fondo anche di ispirazione un po’ comunista, è l’ottimo lasciapassare morale a disposizione di alcuni per ottenere la sua interessata benevolenza.
Per chi ci sta, elogi in classe e pagelle sontuose, per gli altri giudizi pessimi e bocciature in agguato. Tutto ciò colpisce in primo luogo la fragile Danka (Monika Certzeni), ma anche i compagni che cercano di venirle in aiuto. Mentre si diffonde il malcontento contro Maria, la preside si trova costretta a convocare una riunione dei genitori per appianare la situazione. È la scena clou del racconto, perché come in ogni situazione filmica di tutti contro tutti, il tema di fondo finisce per passare in secondo piano e si scatena invece la faida tra beneficati e reietti, che rapidamente diventa un poco edificante catalogo del declino etico di una società fondata sulla collusione col potere e i suoi giochi, anche livelli elementari, dove poche e non sempre coerenti sono le voci di chi vuol comunque far valere con coraggio le proprie ragioni e i diritti fondamentali.
In un carto senso Maria “perde” questo confronto, ma la ritroveremo, non molti anni dopo, nella nuova repubblica “liberata” dalla gabbia etica e politica del regime, pronta a ricominciare nello stesso modo nel nuovo mondo del progresso e della competizione. Se prima iniziava immancabilmente l’anno scolastico con “Benvenuti ragazzi, le mie materie sono lingua ceca, russo e dottrina del comunismo”, ora il suo personale “Pof” comprende “lingua ceca, inglese e religione”. E si capisce già dal suo sguardo, dal sorriso accattivante e vincitore, che, gattopardescamente, sul piano etico tutto è cambiato perché nulla cambi.
Ispirato in qualche modo alle atmosfere, e a fatti reali accaduto a Hrebejk e allo sceneggiatore Petr Jarchovsky nella loro adolescenza scolastica, The teacher, giocato in brillante equilibrio tra i toni della commedia grottesca (la comiche debolezze e bassezza dei genitori) e quelli di un cinema più serio e preoccupato (la violenza inaccettabile dell’autorità esemplificata dal comportamento della protagonista), è un apologo sui guasti che a volte nascono dalla nostra testarda (e positiva) volontà di far prevalere la giustizia e le regole, soprattutto quando si tratta di eventi della nostra vita. Perché spesso è chiaro che un comportamento opposto, meno rigido, avrebbe avuto ben più successo. Ma andando al di là dell’etica, è anche un film sulla delusione di chi dà alle svolte storiche un potere salvifico, capace di redimere l’intera natura umana. La quale invece, è il caso delle mille Marie che la realtà di tanti paesi del mondo (reduci da dittature, ma anche solo da radicali cambi di gestione) potrebbero offrire alla letteratura e al cinema, si presenta assai coriacea nel resistere alla perdita di ruolo e importanza. In campi importanti o meno, in posti di grande o piccolo potere. Date una divisa a un uomo, e subito diventa prepotente: questo adagio popolare, considerato spesso un po’ banale e qualunquista, forse andrebbe rivalutato.
The Teacher, di Jan Hrebejk, con Zuzana Mauréry, Monika Certzeni, Csongor Kassai, Peter Bebjak, Martin Havelka, Eva Bandor, Zuzana Konecna, Ricard Labuda, Oliver Osvald