Un poema caleidoscopico e visionario, un autore di immaginario travolgente e di intelletto estremo: tremila versi che si inoltrano nei territori dello spirito e del cosmo guardando ai grandi di ogni tempo. Marsilio (nella nuova collana Firmamenti) pubblica per la prima volta in italiano l’introduzione di Theodor Däubler a corredo della sua sua notevolissima opera, “L’aurora boreale”.
Nel 1910 esce a Monaco di Baviera un monumentale poema epico Das Nordlicht, ovvero “L’Aurora boreale”, che conta più di tremila versi.
Theodor Däubler, poeta tra i più eccentrici e intemperanti del Novecento, si cimenta in un’impresa titanica e anacronistica che sfida i grandi classici del passato, da Esiodo a Omero, da Buddha a Virgilio, fino a Dante, Campanella e Milton, e canta l’ascesa dell’uomo e insieme della terra verso il sole.
Un luminoso amplesso tra il sole liberato dalla terra e il sole celeste apporta la luce polare alle notti lunghe mesi dei poli. La terra aspira a ritornare una stella splendente. La mia cosmogonia privata aveva trovato il proprio completamento racconta Däubler nell’introduzione in prosa, (L’Aurora Boreale – Interpretazione), uscita tra il 1920 e il 1921 insieme alla seconda edizione, con lo scopo di aiutare aiutare la lettura del poema e che viene proposta per la prima volta in traduzione italiana dalla nuova collana di Marsilio, Firmamenti, col testo tedesco a fronte.
Il poema ebbe un’accoglienza freddissima in Germania, nonostante intellettuali del calibro di Franz Blei, scopritore di Walter, Kafka, Musil, lo abbia inserito nel suo Bestiarium tra i più influenti scrittori contemporanei. Däubler è raffigurato come ‘una robusta medusa vivente nell’Adriatico. Di solito è di color grigio argento, ma ha la proprietà di poter variare a piacimento il proprio colore. Il sistema dei suoi filamenti intestinali è intricatissimo. Spesso non ci si ritrova neppure essa stessa, e vi si impiglia ancora di più nel tentativo di sbrogliarsi; nel fare ciò perde invariabilmente la capacità di mutare colore’.
Un giudizio lucido su pregi e difetti di Däubler, geniale tessitore di miti, forgiatore di una lingua composita che mischia registri alti e bassi, in un pastiche linguistico tra i più disparati e mirabolanti, espressionista e barocco insieme, classico e sperimentale; Däubler è travolto dal suo stesso mondo, che mescola arte, suggestioni, vita privata e professionale.
Nato nella Trieste austroungarica nel 1876, si trasferisce a Vienna con la famiglia nel 1898, qui incomincia la sua vita da bohémien, dorme sotto i ponti di Parigi, Berlino, Dresda, Firenze Roma, Ginevra, Atene e sotto il caldo sole di Napoli ha la prima illuminazione per L’Aurora Boreale , che in un primo tempo pensa di scrivere in italiano ( Däubler è perfettamente bilingue).
‘Finalmente, a Napoli, queste visioni si fecero largo con plastica chiarezza, sobriamente fiorite e focose: io scrissi. D’improvviso afferrai il piano dell’opera. la prima parte doveva essere autobiografica: un pellegrinaggio verso il sole, proprio il mio, doveva esservi descritto. Volevo mettere in poesia esperienze del mio io individuale! E a mo’ di parabola, già la prima parte doveva introdurre alla seconda! In quest’ultima entra in scena l’Io disgrossato con forza nella prima, così che possa disvelare i segreti più reconditi. Un’apocalittica intuizione universale…’
Nonostante il suo aspetto molto più che dimesso e i suoi modi provocatori, frequenta i salotti più ambiti, nei quali viene invitato per la sua trascinante forza declamatoria.
Tra i suoi amici conta Marinetti, Papini, Kandinsky, che gli fa un intenso ritratto, Dix, Grosz, che lo descrive così: ‘andava su e giù come un mostro antidiluviano…continuando a ripetere: non ce l’ho ancora fatta, non ce l’ho ancora fatta’.
E ancora un ricordo del giovane Montale:
‘Più tardi ancora il grande Däubler poeta
Della luce del Nord, un nibelungo barbuto
Di immensa mole che sfonda la poltrona
E sillaba i miei poveri versi di sconosciuto
Miscelando due lingue, la sua e la mia perfette
Come mai ho ascoltato. È una memoria o un sogno?’