Tokyo noir: “Residenza per signore sole” di Togawa Masako.

In Letteratura

Nella Residenza K., che conta centocinquanta abitazioni, ogni ospite ha una stanza, un odio personale da coltivare, un segreto da nascondere. Noir capolavoro di Togawa Masako, ambientato a Tokyo, “Residenza per signore sole” è uscito per la prima volta nel 1962. Ora torna in libreria, pubblicato da Marsilio.

Nulla in Residenza per signore sole, né i personaggi, anziane e rispettabili signorine, né l’ambientazione, un vecchio e rispettabile pensionato, farebbe pensare a qualcosa di torbido, invece Togawa Masako ci trascina in un incredibile noir.
Semina indizi che sembrano apparentemente insignificanti, di cui ci dimentichiamo, perché siamo presi da un’altra piccola vicenda che promette di svelarci qualcosa, ma anche questa volta, in punta di piedi, arriva un altro diversivo e noi, poveretti, cominciamo a conoscere, quasi ad affezionarci a quelle strambe signorine: all’inizio sembravano tutte uguali, invece sono diversissime si odiano tutte e tutte hanno qualcosa da nascondere, e questo non è mai quello a cui pensavamo, o, meglio, a cui eravamo stati indotti a credere.
Grande scrittura, grande maestria quella di Togawa Masako.

Nel prologo, datato 1 aprile 1951, una donna con una gran sciarpa rossa attraversa col rosso un incrocio, viene investita da un furgone e muore.
All’ospedale scoprono che la signora in rosso “Aveva il rossetto, ma era un uomo”, come annuncia il medico in tono distaccato.
Nessuno reclama il cadavere, si fanno indagini nell’ambiente omosessuale, nulla. Passa il tempo e tutti se ne dimenticano, ad eccezione di una donna che aspetterà per sette anni nella sua stanza, nella ‘Residenza K per signore sole’.

La Residenza è un grande isolato in mattoni rossi di cinque piani, con un totale di centocinquanta stanze affacciate su lunghi corridoi.
Le sue inquiline si guardano in cagnesco, c’è chi invidia quella più elegante, chi quella più colta, chi ancora odia per senso di superiorità: per non sopportarsi c’è sempre una scusa buona.
Nel 1958 il genio civile decide di compiere un’impresa ingegneristica mai tentata: scavare sotto le fondamenta per far slittare la costruzione su delle rotaie di qualche metro in modo da farci passare davanti una strada.
L’operazione non dovrebbe comportare il minimo danno, le signore potranno stare ad aspettare comodamente sedute nelle loro stanze con un bicchiere colmo d’acqua: non una goccia tracimerà.
Nei giorni precedenti al grande evento, c’è tutto un fermento tra le ospiti che, contro ogni loro metodica abitudine, escono, telefonano, scrivono.

Dallo sportello della portineria osservo quanto si svolge all’esterno, attraverso la porta a vetri che mi separa dal mondo: oggi, dopo tanti anni, verranno esposti alla luce del sole dei fatti tenuti gelosamente nascosti, i fantasmi del passato sepolti sotto questo edificio.


Il passe-partout che apre tutte le stanze viene rubato, una pigionante viene trovata morta, scompare un prezioso violino di una musicista in pensione, si trova in uno scrigno il ritaglio di giornale di sette anni prima che denuncia il rapimento di un bambino, c’è un gran via vai nell’inceneritore posto al centro del cortile.
Togata Masako ci ha attirato nel suo labirinto e alla fine ci porge il filo rosso per uscirne. E tutto ha una spiegazione.
Un gioiello del noir giapponese.

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