Sentimento e povertà: John Litghow e Alfred Molina esaltano lo sguardo delicato e anti-indie di Ira Sachs
I toni dell’amore si apre sulla festa di matrimonio di due signori in età, Ben, direttore del coro in una scuola cattolica e George, professore di storia dell’arte in pensione. Amici affettuosi, buon cibo, parole d’amore toccanti di una coppia di lungo corso. Tutti felici e contenti, o quasi, perché alla notizia della “sacrilega” (quantunque legale, siamo a New York City) cerimonia, Ben viene licenziato in tronco dalla “pia” istituzione e i due sono costretti dal brusco calo di entrate a vendere la bella casa di Manhattan. Inizia così la loro seconda, difficile, vita di ospiti in casa dl Elliott, gentile ma alla lunga accigliato nipote di Ben, che lo sistema nella stanza del figlio adolescente, sulle prime a sua volta tutt’altro che entusiasta della cosa.
E inizia anche il cuore vero del film, che riesce a sposare appunto i toni dell’amore (due gay, a NYC, di ambiente culturale medio-alto, non proprio una novità assoluta, ma i bravissimi John Lithgow e Alfred Molina sanno trasformarla in una credibile, delicata, combattuta umana commedia) e gli assai contemporanei spunti della crisi economica che penetra nel cuore della buona borghesia progressista. Sconvolgendo gli equilibri della più tipica, ragionevole, simpatetica (col suo ambiente, coi suoi spettatori) famiglia, di fronte all’incontro intellettualmente affettuoso del “loro” ragazzo con il pur sempre, alla fine, scomodo parente “diverso”.
Nessun ammicco scabroso (come si diceva una volta), sia chiaro, il film del bravo regista-sceneggiatore Ira Sachs resta sempre nei limiti della buona educazione cinematografica (forse con l’amico di scuola del ragazzo, qualcosa, ma più probabilmente no…), ma una vera, sincera, partecipata lezione reciproca di vita tra un uomo alla fine del suo percorso di vita e un ragazzo che, come quasi tutti alla sua età, è impegnato a cercare di capire chi è, cosa vuole, cosa diventerà.
Il pregio principale di I toni dell’amore, oltre a riproporre la presenza sempre gentile ed efficace di Marisa Tomei, mamma sensibile e un po’ svagata insieme, come copione richiede, è di essere per certi versi un po’ l’anti-film indie newyorchese.
Pur venendo da quel milieu culturale. Privo di tic e ossessioni cultural-ideologiche egocentriche (alla Listen up Philip per intendersi), sa al contrario raccontare una storia in fondo quotidiana che mescola sentimenti e economia, dialogo di generazioni diverse, voglia e capacità di capirsi tra esseri umani in un mondo che cambia. Un film se possiamo dire, molto “Cultweek”.
I toni dell’amore di Ira Sachs, con John Lithgow, Alfred Molina