A trent’anni dal trionfale “Forrest Gump”, tornano sullo schermo regista, protagonisti e molti partner di prim’ordine (Roth, Burgess, Silvestri) di quel block-buster. Per fare di “Here”, tratto dalla graphic novel di Richard McGuire, un esperimento coraggioso di intelligenza artificiale applicata al cinema. Capace di ringiovanire e invecchiare gli attori durante le riprese. E di trasformare via via il tinello di una classica villetta in villaggio di nativi americani, sala da ballo anni 20, luogo di scontro tra dinosauri.
Sono passati trent’anni, mese più mese meno, da quando Robert Zemeckis sbancava la notte degli Oscar con Forrest Gump, favolona kolossal un po’ ruffiana all’insegna dell’american dream. Una ricetta semplice ma vincente: raccontare i grandi avvenimenti della seconda metà del ventesimo secolo a stelle e strisce, attraverso lo sguardo e le azioni dell’uomo più o meno comune, in cui ogni spettatore potesse riconoscersi col sorriso. Proprio da quello sguardo (e da quel pluripremiato team creativo) riparte Here, nuova fatica di uno dei registi simbolo degli anni 80/90 e ancora capace, come tanti colleghi della medesima generazione, di osare e rinnovarsi senza mai snaturare il proprio stile.
Già, perché, se sul piano della vicenda narrata Here non è nulla di sconvolgente, raccontando le vicende di una tipica famiglia americana dal dopoguerra a oggi, è sul fronte tecnico e stilistico che il ventiduesimo lungometraggio di Zemeckis rappresenta la novità più coraggiosa. Tratto dall’omonima graphic novel del 2014 ad opera dell’illustratore Richard McGuire, ne ricalca non solo l’idea, ma anche la scelta di utilizzare sempre la medesima inquadratura, dividendola in ogni scena in vere e proprie “vignette”, ciascuna ambientata in epoche differenti. Ecco allora che il tinello nella villetta di un qualsiasi quartiere residenziale del New Jersey diviene di volta in volta (o contemporaneamente) un villaggio di nativi americani, una sala da ballo anni Venti, un terreno di scontro tra dinosauri o, semplicemente, un luogo in cui innamorarsi e metter su famiglia. Spetta allora al pubblico, vero protagonista dell’opera, rimettere insieme tasselli del puzzle ordinati in maniera non lineare e ricostruire il racconto, in un mix ben congegnato tra una recherche proustiano-casalinga formato “carosello” e una puntata del grande fratello per grandi e piccini.
Una scelta audace, che dimostra come Zemeckis, a dispetto dei suoi settantadue anni, non abbia ancora perso la voglia di giocare con le tecniche di narrazione cinematografica più moderne, dopo gli esperimenti sull’interazione tra cartoni animati e attori in carne e ossa (Chi Ha Incastrato Roger Rabbit), quelli sulla CGI per combinare scene originali e riprese d’epoca (Forrest Gump) e il primo lungometraggio realizzato interamente in motion capture (Polar Express). Questa volta è l’intelligenza artificiale “Metaphysic Live” a ringiovanire o invecchiare gli attori direttamente durante le riprese stesse, anziché in post-produzione, ottenendo un risultato decisamente più realistico, e permettendo così di rimettere insieme la vecchia band che aveva condiviso con il filmmaker il successo planetario di Forrest Gump.
Primo fra tutti, ovviamente, il fedelissimo Tom Hanks, punto fermo del film in tutti i sensi, seguito a ruota da una Robin Wright che, per la verità, di filtri de-aging sembrerebbe anche poterne fare tranquillamente a meno. A completare la reunion, contribuendo ancora una volta a dare alla pellicola quell’atmosfera da cartoon per famiglie che è un po’ il marchio di fabbrica di Zemeckis, riecco le musiche di Alan Silvestri, la fotografia pastello di Don Burgess e la sceneggiatura di un gigante della scrittura hollywoodiana più o meno mainstream come Eric Roth. Eppure stavolta il supergruppo pare ben lontano dai fasti di un tempo, almeno a giudicare dalla risposta di critica e botteghino nelle prime settimane di proiezione oltreoceano.
Probabilmente perché, a dispetto del titolo, Here resta costantemente indeciso sulla strada da percorrere. Se da un lato la sperimentazione sulla struttura narrativa e la scelta della camera fissa lo rendono innegabilmente un prodotto interessante, dall’altro storia e personaggi sono talmente comuni (e a tratti anche poco credibili, come il padre anziano e alcolizzato, un Paul Bettany irrimediabilmente troppo british) che non si capisce perché mai qualcuno dovrebbe prendersi la briga di raccontarne le vicissitudini sul grande schermo. Il risultato è un prodotto sospeso tra voyeurismo e tecnicismo, non abbastanza semplice per essere commerciale, e nel contempo troppo banale per colpire davvero nel segno. Non un brutto film, per carità, ma destinato forse a un pubblico più ristretto di quanto vorrebbe: se a un sguardo un po’ più critico potrà sembrare un’occasione mancata o colta solo in parte, ai fan storici di Zemeckis e Hanks darà (letteralmente) la sensazione di un piacevole ritorno a casa.
Here di Robert Zemeckis, con Tom Hanks, Robin Wright, Paul Bettany, Kelly Reilly, Michelle Dockery, Gwilym Lee, Ophelia Lovibond, David Fynn