La mostra “Dall’argilla all’algoritmo. Arte e tecnologia” è appena stata inaugurata alle Gallerie d’Italia di Piazza Scala. Queste le nostre impressioni.
L’incontro tra arte e tecnologia era già stato il tema di una mostra, molto bella, alla Triennale voluta dalla fondazione Golinelli nel 2012. L’argomento è estremamente affascinante perché i due termini in fin dei conti coincidono. Techne è abilità, capacità di fare: arte in un’altra parola. La relazione tra linguaggio e tecnologia è indissolubile. Probabilmente il linguaggio si sviluppa proprio quando l’uomo comincia a usare gli utensili, quando il suo corpo si appropria del mondo circostante. Lo forgia. Lo modifica.
La mostra alle Gallerie d’Italia di piazza Scala si confronta con questo vasto materiale. E in un modo che alla fine riesce convincente. Dalle collezioni di Intesa Sanpaolo e del Castello di Rivoli sono state scelte alcune opere che mettono in luce questa relazione.
Da alcune terrecotte del VI-IV secolo a.C, una delle quali proprio dedicata a un laboratorio di ceramica, fino al grande marmo nero di Carrara di Roberto Cuoghi raffigurante Pazuzu, la riproduzione alta più di due metri di un piccolo amuleto assiro che raffigura in modo sinistro gli incubi del maligno occidentale, le 70 opere in mostra attraversano il legame tra tecnologia e arte.
Alcune in modo esplicito come l’Autoritratto come orologiaio di Agostino Carracci, altre in maniera più evocativa come il Ratto di Elena di Luca Giordano la cui attinenza alla tecnologia è dovuta al fatto che questo episodio provocò la guerra di Troia e il dispiegamento di migliaia di navi in quella che può essere considerata la prima vera guerra moderna. Tecnologia vuol dire guerra e in mostra sono presenti il Trionfo Veneziano di un anonimo della fine del XVII secolo come pure la Battaglia contro i Turchi di un pittore veneto dell’inizio del XVIII secolo.
Tecnologia, ricchezza: ad ammonire contro il benessere del Seicento olandese sono le stupende Vanitas come quella del pittore Evert Collier della Collezione Intesa Sanpaolo. Alla Costruzione del tempio di Gerusalemme da parte del re Salomone fanno da contraltare le intime scene di vita quotidiana di Pietro Longhi, il pittore veneziano che ci ha consentito di entrare nella vita di ogni giorno dello splendido Settecento veneziano. Entriamo poi nel boom industriale lombardo con il ritratto di uno dei grandi industriali milanesi, il fabbricante di stoffe Luigi Peroni e una suggestiva veduta dell’appena compiuta Galleria di Milano, un dipinto di Carlo Canella del 1870; il Carrozzone delle Ferrovie Nord di Girolamo Induno, La pusterla dei fabbri di Mosè Bianchi, piccolo, stupendo dipinto, e il Paesaggio con treno di Eugenio Gignous.
Ma l’ingresso nella modernità è dettato dal quadro di Boccioni delle Officine di Porta Romana. Ma la tecnologia non comporta soltanto le fabbriche per produrre. Porta inquietudini e perplessità testimoniate dalle Muse metafisiche e dai Manichini in riva al mare di Giorgio de Chirico. E dai dipinti di Giacomo Balla. Mario Sironi è presente con un enorme studio preparatorio per l’Affresco tra le Arti e le Scienze che si trova all’università La Sapienza di Roma e un piccolo lavoro su carta in cui una cupola, evidentemente romana è sovrastata da aerei minacciosi.
Ma nella vera modernità entriamo grazie a tre opere di Lucio Fontana, tra cui lo splendido Concetto spaziale del 1951. Quattro opere di Gianni Colombo, tra cui la Strutturazione pulsante di puro coinvolgimento emotivo, i Percorsi fluidi di Giovanni Anceschi e lavori di Davide Boriani, Gabriele De Vecchi e Grazia Varisco ci immergono nel boom economico degli anni Sessanta a Milano. La ragazza che cammina, in due versioni, di Michelangelo Pistoletto ci conduce nell’arte povera insieme all’Omaggio a Fontana di Pier Paolo Calzolari. Bruno Munari ed Enzo Mari ci portano nel lavoro grafico e architettonico applicato all’arte.
Uno dei pezzi più belli della mostra è il Liquid Crystal Environment di Gustav Metzger, fiore all’occhiello della collezione del Castello di Rivoli. Ma il mio preferito rimane l’opera di Janet Cardiff e George Bures Miller The Paradise Institute un video riprodotto in un finto cinema. Si entra in una struttura che simula una sala proiezioni in miniatura con un effetto di assoluta credibilità: ci si sente al cinema e quando l’addetto ci richiama per dirci che la proiezione è finita ci si chiede dove siamo. Incredibile. Esperienza che si ripete con la stampa cromogenica di Thomas Ruff e il filmato di Paul Pfeiffer in cui è riprodotta una ripresa di un incontro di boxe in cui il pugile è medicato dal suo allenatore: l’immagine è però cancellata, si vede solo l’azione che si svolge attorno.
L’ultima opera è il video dell’artista Hito Steyerl girato in un cimitero di aerei nel deserto del Mojave in California. Vi si racconta dell’aereo Boeing 707-700 4X-JYI, appartenuto al produttore cinematografico Howard Hughes, poi venduto a Israele e usato per scopi militari. Ritornato negli Usa è stato riparato e comprato da un produttore di Hollywood. Usato nel film Speed del 1994 dove è protagonista dell’ultima scena nella quale salta in aria. I rottami sono stati poi venduti sul mercato cinese per essere utilizzati come materiale per produrre DVD. Arte? Tecnologia?
Dall’argilla all’algoritmo. Arte e tecnologia. Dalle Collezioni di Intesa Sanpaolo e del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria, Milano, Gallerie d’Italia, fino all’8 settembre.
Immagine di copertina: Umberto Boccioni, Officine a Porta Romana, 1909-1910, collezione Intesa Sanpaolo.