In attesa della nuova programmazione, i nostri inviati Andrea Penzo e Cristina Fiore, artisti, curatori e giornalisti, accompagnati dal piccolo Cosmo, ci raccontano le due giornate trascorse lo scorso ottobre in Trentino ad Arte Sella, luogo dove da più di trent’anni arte, musica, danza e altre espressioni della creatività umana si fondono dando vita ad un dialogo unico tra l’ingegno dell’uomo e il mondo naturale. Il loro racconto di quelle giornate, tra inaugurazioni di nuove opere, concerti e passeggiate, fa da premessa alla nuova stagione di incanto tra bellezza e armonia di arte e natura.
Stiamo pensando molto in questi giorni alle trasformazioni linguistiche di un mondo così dettato e determinato da SEO, hashtag e parole chiave funzionali alle logiche del web, da stravolgere completamente la realtà. Abbiamo bisogno di mille categorie per comunicare chi siamo, per descrivere le nostre abitudini e i nostri gusti in ogni campo; ci sembra normale categorizzare la sessualità in un elenco infinito di sfumature comunicate in modo tanto esplicito da essere quasi imbarazzante, e perdiamo il senso della trasformazione, del tempo, della complessità. Per determinare una persona non possiamo affidarci a una lista di definizioni, per ogni individuo c’è bisogno quanto meno di mettere in campo un romanzo.

Entriamo nella galassia Arte Sella e improvvisamente ci troviamo in una camera di decompressione in cui violini intrisi di montagna, di gravi più che di acuti, di gambe che stringono ai fianchi il legno ricurvo di una cassa armonica sospesa nell’altitudine, ci proiettano nel campo delle epifanie. Forme. Musica che si vede nel suo sprigionare materia accompagnando il riverbero di profili visivi intarsiati da algoritmi casuali. Sono Mario Brunello e Mauro Valli a traghettarci in questa nuova e inaspettata dimensione attraverso i due violoncelli piccoli, le quattro mani e le nove corde che fanno rivivere le note di Bach, accompagnate da preziosi intermezzi verbali capaci di dare profondità e senso a quello che stiamo vivendo.

Tutto questo come preludio all’inaugurazione della nuova acquisizione di Arte Sella, le sculture di Davide Quayola Proserpina #A_S4. Musica di archi e un braccio meccanico che incide il marmo.
Statale 47. Camioncini pieni di sacchi di mele che costeggiano la strada per un tempo che ci sembra lunghissimo. Cerchiamo un bar, vorremmo un caffè, ma ogni sosta è una sosta frustrata. Tutto è chiuso. Sono passate da poco le 15.00 e non troviamo quello che cerchiamo. Però anche questo lembo di grigio tra le montagne ha il suo fascino. Non pullula di piste da sci; non è il luogo del divertimento invernale praticato da comitive urbane inconsapevoli; le sue bellezze vanno scovate e cercate. Procediamo nel nostro viaggio intrisi dei ritmi della città lagunare che abbiamo lasciato alle spalle e procediamo attendendo quello che ci aspetterà. Per arrivare alla Malga Costa a Borgo Valsugana giriamo a sinistra e iniziamo la salita. Tornanti, gatti di legno, felci. La strada è stretta, come in una danza ci si accosta, si lascia passare, si va avanti. Quando il bosco si dirada e il paesaggio si fa verde si iniziano a intravvedere i croco, sottili e violetti, simbolo di passione e sensualità. Incorniciavano, nella mitologia, il talamo nuziale di Giove e Giunone, la coppia per eccellenza. Lasciamo la macchina alla casetta del miele e ci incamminiamo per un sentiero sterrato. I croco qui sono molto vicini a noi; nostro figlio si fa catturare da ogni dettaglio, dal suono di un corso d’acqua o dalla brillantezza dei colori di un fiore. Ci aspettano, stiamo arrivando.

Rosa Zambelli con noi è davvero accogliente, ci presenta Giorgia che starà con Cosmo durante la nostra permanenza lì. Entriamo in malga e conosciamo pian piano tutti, intorno al lungo tavolo imbandito sui cui Orietta la cuoca posa, ritmata, ottime pietanze. Qui parliamo con Davide Quayola del senso del suo lavoro, di una gestazione durata anni che ha fatto delle lentezze una virtù, un modo per calcolare ogni dettaglio, nell’attenzione di una direzione che, pur passando il testimone – il primo ingaggio era venuto dall’allora direttore artistico e co-fondatore di Arte Sella Emanuele Montibeller – si è dimostrata consapevole e partecipe. Nel lavoro di Davide il cuore della trasformazione tra iconografia classica e mondo contemporaneo è costituito dal lavoro computazionale. Nella sua pratica è l’algoritmo a leggere e tradurre la forma classica per farla diventare altro da sé. In questa trasformazione erano sempre stati scelti materiali leggeri, plastici, facilmente plasmabili dal braccio meccanico. Materiali non compatibili però con la prepotente presenza della natura montana. Qui serviva un materiale forte, in grado di integrarsi con il contesto e di sopravvivere alle sferzate delle intemperie.

Nell’idea originaria di Arte Sella le installazioni e le sculture dovevano deteriorarsi in maniera organica, con le trasformazioni dello stesso ambiente che le accoglieva. Quindi legno, piante, intarsi destinati a scomparire. Adesso l’orizzonte è cambiato, si punta a far permanere le opere nel contesto ambientale, memento di ciò che il tempo ha prodotto e dei segni che ha lasciato. Qui per la prima volta le sculture di Quayola sono incise dal braccio meccanico direttamente sul marmo, un materiale vero, difficile da scalfire, proveniente dalle Cave Corsi a Carrara. “La quattro sculture di Proserpina #A_S4 realizzate per Arte Sella, consistono in variazioni algoritmiche del celebre capolavoro barocco Il ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini (1621-1622); poste in prossimità del teatro del parco, le sculture restano incompiute, con l’intento di documentare la logica e l’estetica del processo di creazione, vero soggetto dell’opera”. Disegnando uno skyline che costringe lo spettatore ad esplorare quel particolare punto del bosco da cui si aprono scorci inediti di paesaggio montano, il marmo nelle sue parti lisce e non lavorate diventa superficie specchiante in grando di inglobare le gibigiane del verde. Tutti gli infiniti crocevia decisionali che l’artista si è trovato a percorrere durante la messa in forma della sua opera, sono la testimonianza di quell’autorialità attraverso cui l’individuo umano domina la macchina, rende la tecnologia sua alleata e collaboratrice, senza farsi a sua volta plagiare dall’infatuazione o, per contro, dal rifiuto tecnologico che inebria i più.