L’eclettico musicista (spazia dalla musica barocca a quella elettronica) ci parla di “Genji Lab”, ardita sperimentazione sul “Genji Monogatari”, antico testo giapponese, da domani sera al Piccolo Teatro Grassi per Tramedautore
Ci sediamo al tavolo di un bar, è una delle ultime giornate senza pioggia di una Milano settembrina. Cesare Picco mi chiede di guardare verso l’alto, verso i rami dell’albero che fa ombra al nostro pranzo. «Non guardare il verde delle foglie, guarda lo spazio, il vuoto che c’è tra i rami: ecco, così cambiamo visione, iniziamo a contemplare il ma, il concetto che identifica lo spazio che a noi sembra, ma non è vuoto».
Cesare Picco si è avvicinato alla cultura giapponese negli ultimi dieci anni, e in questi giorni (dal 14 al 24 settembre) la traspone in musica per il chiostro del Piccolo Teatro Grassi in occasione del festival Tramedautore. Con il suo pianoforte Yamaha, porterà sulla soglia del teatro sei improvvisazioni dedicate a sei temi da lui definiti, ispirati al Genji Monogatari (La storia di Genji), romanzo giapponese dell’anno Mille, scritto da una donna, Murasaki Shikibu, come sottolinea il compositore.
Come l’immagine dell’albero che osserviamo anche la musica è fatta di pieni e di vuoti, di pause che danno senso, armonia al suono. Così il pianista Cesare Picco ha ideato un ciclo di sei concerti che lascino conoscere la storia del principe Genji attraverso i contrasti, per differenza come avrebbe insegnato Anassagora al mondo occidentale, attraverso una “contemplazione”, l’osservazione di ciò che accade in uno spazio, quello del Piccolo Teatro in questo caso.
Ciò che accadrà non lo sa nemmeno Picco però: protagonista dei sei appuntamenti sarà l’improvvisazione, tra il piano e l’elettronica gestiti in tempo reale. «È una questione di estrema concentrazione, dovrò essere drammaturgo, coreografo, performer, compositore, e dovrò avere il senso di tutto ciò che succede in quest’ora (una per ogni serata, ndr). Le persone che usciranno da teatro (l’appuntamento è alle 21.30 all’uscita degli spettacoli nello spazio dedicato a Postrame, ndr) potranno fermarsi e contemplare questa performance. Mi piacerebbe immaginare che, se io potessi suonare per sei ore di fila, in una potenziale scenografia una foglia si staccasse da un albero e ci mettesse quelle stesse sei ore per cadere. Oppure che il pubblico immaginasse in quelle sei ore di osservare la mia performance al pianoforte come se stesse osservando un ragno che tesse la sua tela. Come la tela di un ragno, la mia composizione sarà unica, non potrà essere riproducibile, perché sarà uguale solo a se stessa, a come sarà nel momento in cui suonerò».
Questi concerti, pensati per una rassegna teatrale, dunque per innestarsi in un programma performativo, hanno un forte principio drammaturgico: «penso che non ci sia niente di più potente, come atto estremo, di donare e vivere insieme al pubblico una cosa nata in quel momento e che nell’esatto momento dopo non esiste più. Questo concetto filosofico è alla base di tutta la tradizione orientale del Giappone e in particolare di questo romanzo. Questo senso di mono no aware, cioè di caducità, che non è vissuta come potremmo viverla noi qui in occidente come un discorso di tristezza o malinconia, ma è contemplare ciò che abbiamo intorno di bello, è viverlo e sapere che secondo dopo secondo non sarà più lo stesso».
I sei temi del Genji Monogatari cui si ispira il lavoro sono madre, danza, vita, spirito, bellezza, silenzio: come nel romanzo, anche nel progetto musicale affiorano i miti occidentali, Edipo è una presenza fortissima. «Sono felice di poter far conoscere il Genji, per capire la realtà del Giappone e per mostrare come, pur non essendosi mai toccate, la cultura orientale e quella occidentale abbiano potuto riflettere su soggetti molto simili. Quello che vogliamo creare con questo progetto è un percorso a cui il pubblico può partecipare per una o sei volte, un giorno sì e un giorno no. Sarò io, seguendo la trama del romanzo, avendo ogni volta come riferimento una parola chiave, un capitolo, un’emozione, a creare la musica di quelle pagine e a rivivere una parte di quel romanzo, di quella sceneggiatura, della vita del principe Genji, concentrandomi sulle immagini che il testo suggerisce».
La dimensione della musica improvvisata in questo Genji Lab, un laboratorio di idee, non solo una performance, vuole essere perciò «un modo per abbattere quell’idea della ritualità del concerto che abbiamo nella nostra visione da sempre. Questo sarà un modo di vedere un musicista, improvvisatore, pianista, compositore che in tempo reale interpreta. Io adoro poter contemplare il lavoro artigianale di qualcuno, sarà come vedere un cuoco dietro un vetro, come fermarsi a notare un sarto che cuce. Nella mia idea, questi sei giorni vogliono essere una bolla, un tempo sospeso: nel momento in cui la gente uscirà da teatro io ci sarò».
Cesare Picco sarà dietro il suo pianoforte, leggero come una foglia e sospeso quanto il concetto di mono no aware, tra i campionamenti dei suoni che ha portato con sé dal Giappone, le voci giapponesi che riproducono il ricordo del Genji Monogatari, e l’ispirazione che trasforma il testo in musica. Similmente ad altri suoi progetti, dai Concerti al buio a Pianorave, cercherà di vivere un’esperienza invece di riprodurre sistematicamente una partitura. E come vuole Tramedautore la sua sarà una performance, un evento con un forte legame con la dimensione teatrale, per vivere una tessitura e una drammaturgia che rispetteranno il principio del qui e ora.
Tramedautore: Cesare Picco Genji Lab Piccolo Teatro Grassi
Immagine di copertina di Matteo Girola