Un incredibile viaggio nel nostro presente, tra quintessenze e semi nascosti, alla ricerca del non senso che ripete la vita.
Trascendi e sali, in scena fino al 13 luglio al Teatro Elfo Puccini, è il quindicesimo spettacolo teatrale di Alessandro Bergonzoni, che condivide questa volta la regia con Riccardo Rodolfi. Per dirla con parole sue, si tratta di “un lavoro orizzontalmente verticale” che, “a livello scenografico, gioca sulla perpendicolarità”. All’inizio vediamo soltanto dei piedi in cima a un’impalcatura a scalini, piedi che si muovono avanti e indietro, a volte in modo nervoso, a volte più lentamente; la voce di Bergonzoni comincia a descriverci il mondo dall’alto, il punto di vista migliore per abbracciare l’insieme delle cose. Frasi complesse, monche, dense di significati che afferri soltanto quando è già cominciato un nuovo verso; artista della parola a tutto tondo, non ci offre soluzioni semplici né polemiche sterili, tutto per lui, e grazie a lui, ha un profondo e innegabile significato morale.
Alessandro Bergonzoni ci fa dono, con questo nuovo spettacolo, di una mirabolante spedizione ai confini della parola, tra risate e amare consapevolezze. Imprevedibile come sempre, nascosto forse come mai prima, l’artista bolognese scandaglia la nostra realtà alla ricerca del filo narrativo introvabile. Dalla violenza domestica, dalle donne che amano “l’uomo dei loro segni”, dalla donna posata colpita dal coltello, dall’umanità che si avvia verso l’estinzione “e tu lasciala andare”, fino alle domande sui migranti, “promesse che vengono a galla”. Noi continuiamo a stendere sopra quelle morti un “telo pietoso” ma forse, oltre alle loro vite, perdiamo ogni giorno di più la nostra ricchezza interiore, l’empatia umana primaria.
In Trascendi e sali il ritmo è serratissimo, esplodono le risate e subito dopo ci si vede allo specchio e il sorriso si spegne: i giochi di parole, il lessico che da mezzo si trasforma in fine ultimo, le allusioni, i sensi che da doppi si moltiplicano mano a mano che le frasi procedono… Tutto sembra inserito in un quadro surrealista a cui tutti aggiungono il colore che preferiscono. Guardando nel caleidoscopio dello scrittore, attore, comico, affabulatore, pittore, filosofo (e tanto altro), troviamo quello che Bergonzoni stesso definisce “l’inchiesto”: quello che non ci siamo mai chiesti. E probabilmente continueremo a non chiedercelo, ma lui ci ha dato l’indizio, la chiave, la parola giusta e sbagliata al tempo stesso: così la semantica diventa politica e siamo tutti elettori, votanti, “ministeri e misteri”.
C’è un momento dello spettacolo in cui siamo con lui sul palcoscenico ed è quando Bergonzoni arriva a parlare di famiglia. Sappiamo come chiamare un figlio che perde un padre, “orfano”, e un coniuge che perde l’altro, “vedovo”, eppure non c’è una parola per definire un genitore che perde un figlio: il cuore dello spettacolo è proprio nelle parole mancate e mancanti, in quelle che ci insinuano il dubbio che se non possiamo dirlo non possiamo nemmeno permetterne l’esistenza. Forse i genitori che perdono un figlio dovrebbero essere adottati da altri genitori, perché possano trovare una pace nuova.
Bergonzoni parla anche di tortura, “ma quale tortura d’Egitto?”: ricorda Regeni e subito dopo Cucchi. Continua a non essere una presa di posizione politica, è una vera e propria interrogazione morale, un dialogo fra coscienze. Come il discorso sui migranti: “visto che non abbiamo ancora deciso se questa è casa nostra o casa loro”, perché non li portiamo fuori a cena? Una parabola complicata, che trascende non solo i giochi di potere della politica ma anche quelli della religione, proponendo una strada che unisca tutte le chiese ma in due direzioni, perché il senso unico non avrebbe necessità d’esistere. Bergonzoni arriva a chiedersi: se un migrante salva un italiano e ottiene la cittadinanza d’onore, a tutti gli italiani che non salvano i migranti andrebbe tolta? Dov’è finita la nostra “carta di dignità”? Se “la razza è solo un pesce”, quanto ancora discuteremo del nulla?
Tanti i cambiamenti di punto di vista, dall’alto, sul palco, orizzontali, nascosti… Una voce unica e poliedrica che ci racconta la storia di sempre eppure, scegliendo con cura le parole, semina qualcosa dentro di noi. Applausi a non finire, tante risate strappate e qualche riflessione avviata, Bergonzoni ci saluta con un’unica richiesta, enorme: invece che andare a vedere i concerti perché non cominciamo a farci stupire dai concetti?
L’amore può anche non portarci dove pensiamo o speriamo ma, comunque vada, dovrebbe renderci più responsabili e veri.
Se così non è – se non sortisce effetti etici – allora è solo una forma particolarmente intensa di piacere.
Julian Barnes, Livelli di vita