“Tre volti” è il quarto film girato segretamente e con mezzi assai limitati dal regista, privato da tempo di una completa libertà dal governo. Un’amica, attrice di nome (Behnaz Jafari), riceve un video di una ragazza che minaccia il suicidio se la diva non l’aiuterà a far cinema. Il maestro parte con lei sull’auto di “Taxi Teheran” per affrontare la situazione. E ritrovare le montagne del nord-ovest in cui è nato
Di norma siamo abituati a concepire il cinema come un luogo dove divertirci, dimenticare le fatiche che affrontiamo ogni giorno. Tuttavia, esistono persone per le quali il cinema è molto più di questo, è di fatto la loro ragione di vita, l’unica cosa che li spinge ad affrontare le avversità. Tra questi va sicuramente annoverato il regista iraniano Jafar Panahi, che torna nelle sale italiane con Tre volti, premiato a Cannes per la miglior sceneggiatura.
Panahi (che interpreta se stesso) deve accompagnare l’amica Benhaz Jafari (celebre attrice in Iran, anch’essa nel ruolo di sé medesima) a investigare sul presunto suicidio di Marziyeh (Marziyeh Rezaei), una ragazzina cui la famiglia vuole impedire di diventare attrice. Dopo aver ricevuto un video dell’esagitata giovane che sembra impiccarsi, Benhaz e Jafar si dirigono nel suo piccolo villaggio, per capire cos’è successo. Lungo la strada, i due scopriranno che la realtà è più complicata di come sembra.
Chi vuol andare a vedere il film dovrebbe prima sapere bene chi è Panahi, e in quali condizioni è costretto a girare: a causa dei suoi precedenti lavori, molto impegnati e che negli anni hanno raccontato con sguardo critico i maggiori problemi della società iraniana, nel 2010 è stato arrestato, poi rilasciato ma comunque condannato a non poter girare film né uscire dall’Iran per 20 anni; infatti, sia questo film che il precedente Taxi Teheran, del 2015, sono stati girati di nascosto, e con pochissimi mezzi a disposizione. Se lo spettatore non sa queste cose, potrebbe non capire il contesto del film.
Ma mentre nell’altro lavoro, fingendosi tassista, faceva salire a bordo della sua auto differenti persone che, quasi involontariamente, hanno finito per offrire un quadro della popolazione di Teheran, qui usa la sua macchina per uscire dalla capitale ed esplorare piccoli paesi di provincia, arroccati su quelle montagne del nord-ovest del paese dove lui stesso è nato. E anche stavolta le persone che incontra lungo la strada diventano piccoli tasselli di un grande mosaico. Egli ci immerge in un mondo dove la fede e le tradizioni vengono intese in modo totalmente diverso dagli occidentali, tanto che sembra quasi di tornare indietro nel tempo. E ciò purtroppo si riflette anche sul ruolo della donna nella società, tema che Panahi ha già affrontato in altri film come Offside del 2006.
L’affresco che Panahi ci offre della società iraniana più rurale, al suo quarto film girato infrangendo il divieto, piacerà soprattutto a chi nutre un forte interesse per il cinema indipendente. Tuttavia, forse proprio a causa dei pochi mezzi a disposizione, la narrazione scorre lentamente, con pochissime scene divertenti, e ciò lo rende spesso noioso e monotono, specialmente per chi è abituato a un altro modo di fare cinema. E non bastano le buone interpretazioni della Jafari e della giovane Rezaei per renderlo più apprezzabile.
Pur essendo girato da quello che è considerato da molti il maestro del neorealismo iraniano, Tre volti è una di quelle opere in cui se da un lato si vedono le buone intenzioni dell’autore, dall’altro si resta con l’impressione che queste non siano state sufficienti per girare un film piacevole da guardare.
Tre volti, di e con Jafar Panahi, Behnaz Jafari, Marziyeh Rezaei, Maedeh Erteghaei, Narges Delaram.