Sei motivi a sostegno dell’idea che il successo della serie di Nic Pizzolatto risalga…al 1300. Abbia cioè un debito di riconoscenza con la Divina Commedia
Il 2014 è stato l’anno di True Detective. La serie poliziesca, targata Hbo, ha guadagnato ottimi riconoscimenti di pubblico e di critica. Ideata da Nic Pizzolatto con protagonisti Matthew McConaughey e Woody Harrelson, si è imposta come un cult perché ha condensato il meglio del cinema e della televisione, producendo uno spettacolo imperdibile. Dopo aver visto l’intera prima stagione mi sono posta una domanda paradossale: se la Divina Commedia non fosse esistita, True Detective avrebbe avuto lo stesso successo?
Ammetto che l’essermi sottoposta ad una sessione di binge-watching da antologia potrebbe avermi causato qualche effetto collaterale – allucinazioni, ipersensibilità alla luce – ma guardando gli otto episodi della serie ho colto riferimenti o almeno similitudini con l’opera di Dante Alighieri. Il fatto che la serie sia stata ideata e scritta da Nic Pizzolatto, romanziere di origine italiana e professore universitario di letteratura, potrebbe confermare la mia ipotesi: il successo di True Detective risale al 1300.
Ecco sei motivi a sostegno di quest’idea.
1) L’intera vicenda è ambientata in Louisiana: la nuova selva oscura. Tra enormi spazi paludosi, rovi e sconfinate distese verdeggianti si aggirano creature mostruose, che appartengono a culti antichi e vivono di paure e credenze popolari. Nel dominio incontrastato della natura, questi esseri manifestano la loro presenza e rappresentano simboli ancestrali del male che esiste nel mondo e quindi anche nell’essere umano.
2) I due protagonisti, Rustin Cohle e Martin Hart, sono dei moderni Dante e Virgilio. Cohle è un cane sciolto. Ha cercato di comprendere la realtà che lo circonda attraverso la filosofia, ma ha smarrito la propria strada e anche se stesso. Hart invece appare come un detective pragmatico, posato e saggio. Ha lui la funzione di guida: deve tenere sotto controllo il collega perché le indagini abbiano un buon esito.
3) Ciò che distingue True Detective dalle altre serie poliziesche non è la linea crime, poco innovativa rispetto a show come Csi o Criminal Minds. La qualità principale del lavoro di Pizzolatto è la scrittura con cui delinea i protagonisti e le loro storie. Cohle e Hart risultano veri perché sono fallibili e carichi di contraddizioni. Non sono eroi senza macchia e raccontare le loro vicende significa indagare il lato oscuro dell’animo umano, proprio come accadeva nell’inferno dantesco.
4) Nell’episodio finale dopo un’esperienza metafisica, Cohle racconta di aver compreso la grandezza dell’universo: uno spazio immenso in cui non è l’oscurità a predominare, così come aveva sempre pensato, ma l’armonia. In quel luogo ineffabile Rustin dice di aver percepito l’amore della figlia persa tragicamente. Ciò gli permette di trovare la fede, intesa come fiducia, che esista altro dopo la morte. Alla fine del suo viaggio Dante riesce a vedere Dio e lo descrive così: «O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi!»
5) La Divina Commedia e True Detective raccontano il male che esiste nel mondo e anche nell’animo umano. Sperimentarli è un’esperienza dolorosa e angosciante. Ma sia Dante che i due detective affrontano la loro discesa agli inferi e la successiva redenzione perché comprendono l’importanza di avere fiducia nel prossimo: Cohle e Hart si proteggono e sostengono a vicenda, proprio come Virgilio e Dante, e solo così riescono a salvarsi.
6) In una delle ultime scene, i due detective ricordano che Rust, da ragazzo, guardava le stelle e inventava storie. E in fondo la Divina Commedia è questo: un racconto frutto della fantasia, ma ricco di riferimenti astronomici e cosmologici, che danno un senso realistico a un viaggio che altrimenti non avrebbe una collocazione nello spazio e nel tempo. Il fatto che l’ultima inquadratura della serie si concentri su un cielo stellato sembra dunque un omaggio al celeberrimo “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Quanto basta per dire grazie al Sommo poeta. O no?