“The Apprentice” del regista iraniano-danese Ali Abbassi ha fatto molto discutere all’ultimo Festival di Cannes per la forza della sua denuncia politica. Racconta infatti come l’ex (e ora di nuovo candidato) presidente americano ha scalato negli anni Ottanta la vetta del successo economico grazie all’aiuto di un diabolico avvocato morto poi di Aids, peraltro mai dichiarato. Ma il film è anche un affresco di New York che non fa sconti alla metropoli in fatto di corruzione, brama di successo, durezza di comportamenti e maschilismo. Con un posto di un rilievo per il potere propagandistico dei media
Esce in sala uno dei film che hanno fatto più discutere Cannes 2024, The Apprentice, l’apprendista, titolo che in italiano subisce una sgrammaticata didascalia: “Alle origini di Trump”. L’autore, Ali Abbassi, iraniano naturalizzato danese, è ora al primo film in lingua inglese. Che si svolge alla fine dei 70 e poi negli anni 80 politicamente reazionari in palleggio fra Carter, Reagan e Bush, per raccontarci, con spaventosa attualità rispetto alle prossime elezioni americane, la resistibile ascesa di due personaggi fra
loro complementari nel modo di essere e fare affari, due self made men aggiornati ai tempi. Uno è, lo dice il titolo, Donald Trump, il 45mo presidente Usa, e lo vediamo giovane e biondo, piacione, arrogante e in lotta col padre, teso a raggiungere il proprio successo personale in ogni campo.
Chi lo appoggia e gli farà far fortuna iniziando dalla Trump Tower nel centro di Manhattan, mettendolo in corrotto contatto con le autorità della metropoli che never sleeps, è l’avvocato Roy Marcus Cohn, gay
velato (ma i suoi festini trans erano noti), nato povero nel Bronx nel ’27, diventato avvocato ricco e potente, morto di un mai dichiarato Aids, lui diceva un tumore, nell’86: fu un personaggio che dire chiacchierato è poco. Legale di grido, in contatto con quelli che contano e si possono comprare, pare un poco infatuato del giovane ribelle Trump, ancora in taglia M, dopo aver fatto di peggio, assistere il senatore Mc Carthy nella “caccia alle streghe” (della sinistra e soprattutto di Hollywood, la famosa black list) e far condannare a morte i coniugi Rosenberg per una falsa accusa di spionaggio nell’epoca della patologica e calcolata “paura rossa”.
La storia si ricorderà di lui, già se ne è ricordato lo scrittore Tony Kushner che l’ha messo tra le star della sua famosa “fantasia gay” con parentesi surreali Angels in America, miniserie tv e recitata in Italia dalla compagnia dell’Elfo, in cui Cohn esprime il peggio di sé e di una certa America. Ora il film colma un
vuoto, perché non era così noto il ruolo avuto nella scalata immobiliare di Trump e l’amicizia che si stabilì tra i due, contrastando anche l’innamoramento e amore di Donald per la straniera Ivana che sposerà e con cui vivrà in modo tempestoso. Il film non ha la pretesa di un documento storico ma lo è: non usa retorica, non alza la voce moralmente (è tutto chiaro), non aggiunge didascalie ma organizza un ottimo complotto narrativo che noi sappiamo quanto oggi ci riguardi da vicino.
Cohn, una specie di Mackie Messer dell’”Opera da tre soldi”, assisterà Trump dal ’73 all’85, e sullo sfondo dei due ritratti c’è sempre un panorama sociale che in parte il cinema ci ha fatto conoscere: il film è in ogni caso un’istantanea perfetta, il selfie di una città in un certo momento storico. E poi c’è, in tutta la sua arroganza, la ferocia del potere che passa sopra i legami familiari (suicidio del fratello di Trump), camuffando la verità e bipassando leggi, regole e tasse. Il regista ci racconta tutto come in un vasto
affresco storico, compreso il bieco maschilismo e il vergognoso abbandono finale del protettore in disgrazia, malato e radiato dall’ordine.
Due attori straordinari fanno il resto: Sebastian Stan (è stato in Captain America) è un giovanile e somigliante Trump e Jeremy Strong, premiato per Succession (la serie), segue la metamorfosi psicosomatica dell’avvocato Cohn. Infine il titolo: è quello del libro autobiografico dell’ex presidente
repubblicano ma anche di un reality show dove i concorrenti erano imprenditori in erba, che Trump giudicava in tv, sulla rete NBC, fino al 2016, lasciando poi il posto a Schwarzenegger.
The Apprentice – Alle origini di Trump, di Ali Abbassi, con Jeremy Strong, Sebastian Stan, Maria Bakalova, Martin Donovan, Charlie Carrick