Un nuovo semi naufragio del magniloquente Ridley Scott, che in “Tutti i soldi del mondo” ricostruisce con molta libertà il rapimento “italiano” del rampollo della celebre miliardaria famiglia americana. Sparito, per motivi etici, Kevin Spacey, tocca a Christopher Plummer, più che valido sostituto, il ruolo del vecchio avaro. Ma il resto del film, nonostante un sontuoso cast, ha molte pecche
Ridley Scott è uno dei più grandi misteri della cinematografia contemporanea. Non tanto per l’incredibile varietà di generi esplorati (tipica di tanti registi della sua generazione, vero Spielberg?), quanto per l’inspiegabile saliscendi della sua produzione in termini di qualità, difeso ogni volta con una convinzione tanto ferma da lasciare quasi spiazzati. Eppure, ed eccolo qui il mistero, è lecito domandarsi come abbia fatto il regista di Alien, I Duellanti e Blade Runner a partorire colossali vaccate quali Exodus – Dei e Re o Soldato Jane (tralasciando per pietà i discussi e discutibili Prometheus e soci)? O, piuttosto, bisogna chiedersi come sia riuscito ad azzeccarne un paio in modo tanto clamoroso per poi abituarci a ben altri standard, nonostante dichiarazioni roboanti e tonnellate di director’s cut?
Una cosa però è certa: da Il Gladiatore a Le Crociate – Kingdom of Heaven, da Black Hawk Down a Robin Hood, nella spettacolarizzazione della Storia con la esse maiuscola, Ridley lo spendaccione ci sguazza come un pesce. Tutti i Soldi del Mondo, la sua ultima fatica, rientra nella categoria, seppure in versione low budget: cronaca realistica ma non troppo del rapimento di Paul Getty, nipote dell’omonimo multimiliardario americano, il film è di fatto la storia di un sequestro di mafia a scopo di estorsione, raccontata con la stessa epica tracotanza di un kolossal su Mosè, nello stile di chi deve sempre e comunque ragionare sui massimi sistemi.
Il che ha il suo fascino, è possibile, a patto che gli attori in primis (oltre al pubblico, ovvio) riescano a reggerne il peso sulle spalle, e in questo Scott ha se non altro il merito di saper sempre racimolare il meglio sulla piazza, tra star affermate e in rampa di lancio. Della sostituzione last minute di un Kevin Spacey travolto dagli scandali sessuali si è già detto fin troppo, ma è un dato di fatto che il più anziano Christopher Plummer riesca a regalare allo spettatore un Paul Getty senior forse meno viscido del protagonista di House of Cards, ma dall’inalterato, monumentale carisma. È lui, come è giusto che sia, il volto e l’anima della pellicola, ben più della tanto decantata (e candidata all’Oscar per Manchester By the Sea) Michelle Williams, non sempre all’altezza del ruolo, o di un Mark Wahlberg in libera uscita ma probabilmente più a suo agio sui set di Transformers e simili.
Intorno a loro, grandi temi come il valore (e il peso) della famiglia, o l’avidità e l’accumulo al di là del mero interesse economico, cozzano inevitabilmente con una regia e una sceneggiatura che solo in parte riescono a catturare l’interesse della sala (e anche lì, merito comunque dell’ottimo Plummer), complice forse la cornice italiana stereotipata per l’ennesima volta fino al ridicolo, o le troppe licenze poetiche rispetto alla cruda realtà dei fatti. Libertà più che perdonabili in linea di principio, ma in pratica semplicemente inguardabili, come l’inseguimento finale in stile Prova a prendermi (ma, ancora, Scott non è Spielberg), le smorfie e i tamburelli dei mafiosi in pausa pranzo capitanati dal povero Romain Duris trasformato in caricatura, le Brigate Rosse coi poster di Lenin nella cameretta o il catartico collasso finale del vecchio avaraccio e vissero tutti felici e contenti.
La solita americanata? Sì, dall’inizio alla fine, ed è un peccato. Perché le scene più interessanti, paradossalmente, sono quelle più semplici nei salotti di villa Getty, senza nulla se non il gioco delle parti di attori e dialoghi sulla carta validissimi, schiacciati dalla pesantezza biblica o dall’ingenuità comica del resto del film. Peccato perché nel fracasso di un prodotto finale che pecca troppo spesso di megalomania e autocompiacimento, finiscono col perdersi le sfumature di personaggi potenzialmente molto interessanti, che avrebbero potuto fare di Tutti i soldi del mondo, se non un film più interessante, senz’altro un film più vero.
Tutti i soldi del mondo, di Ridley Scott con Michelle Williams, Christopher Plummer, Mark Wahlberg, Romain Duris, Charlie Plummer