Il grande designer, artista, architetto in mostra alla Triennale. Una figura poliedrica che attraversa il secondo Novecento italiano, con l’attitudine dell’outsider.
Forse non si poteva offrire una dimora migliore alla mostra “Ugo La Pietra. Progetto Disequilibrante”: le sale della Triennale, simbolo di una Milano culturalmente arrembante malgrado gli anni drammatici in cui sorsero, raccolgono la cinquantennale carriera del versatile artista milanese.
La Pietra, uomo profondamente legato alla sua città, ha fatto in tempo a partecipare a quella carica emotiva avanguardista che durò, in parallelo con le sorti del Palazzo dell’Arte, fino alla seconda metà degli anni sessanta. Proprio all’inizio di quel decennio si datano le sue prime vicende artistiche, tra progetti architettonici brutalisti e pitture informali di natura segnica. Sono queste opere a introdurre la mostra curata da Angela Rui e allestita dallo stesso La Pietra: suddivisa in undici sezioni, essa mantiene un ordine sia cronologico che tematico, a conferma di quanto il lavoro dell’artista sia stato dinamico eppure coerente nel corso dei decenni.
Urgenza costante è la riflessione sul rapporto dell’individuo con la realtà circostante, sia essa domestica o urbana, pubblica o privata. Da questa matrice comune si sviluppano varie declinazioni: opere bidimensionali, oggetti luminosi, ambienti audiovisivi. Lo scopo che li accomuna è disequilibrare, come dice il titolo, la nostra percezione abituale dello spazio. Bersaglio prediletto è la città: l’architettura ha fallito, ha creato luoghi alienanti e impersonali; quello che resta da fare è riutilizzarli in modo autonomo.
Disegni, video, assemblaggi propongono, non senza ironia, possibilità di recupero alternative: un cono spartiacque diventa la base di un tavolino, una palina stradale si tramuta in «arcangelo metropolitano», una crociera sul Reno diventa il pretesto per osservare un luogo «il più omogeneo, estraneo e stabile possibile». Le opere sono spesso intervallate da brevi pensieri scritti, spunto per riflessioni quanto mai attuali: «cerchiamo la forma che nasce delle nostre esperienze invece che dagli schemi», «abitare è essere ovunque a casa propria», e così via.
Se gli argomenti sociali dominano il decennio delle grandi contestazioni collettive, negli anni Ottanta trovano spazio le tematiche della memoria e della dimensione domestica, modificate dall’incalzante invasione tecnologica. La prima ha perso la profondità del vissuto ed è rappresentata in mostra da un alto muro di scatoloni, la seconda è stata violata nella sua intimità, come bene esprime il progetto della “casa telematica”.
Gli ultimi anni vedono La Pietra tornare su argomenti più ampi, come la globalizzazione e il definitivo abbandono dell’artigianato. Ma sembra che una certa disillusione senile abbia preso il posto del giovanile e vitale umorismo. Preferiamo allora, dell’ultimo La Pietra, quello intimistico e fantastico, che recupera la pittura segnica delle origini e si permette si sognare giardini di delizie mediterranei.
Una mostra, insomma, che ha il grande pregio di restituire esaustivamente una figura longeva e composita, che è sempre stata aggiornata alle ultime novità artistiche, pur mantenendo un sano distacco da outsider.
“Ugo La Pietra. Progetto disequilibrante”, Triennale di Milano, fino al 15 febbraio 2015.
Foto: Ugo La Pietra, Immersione “Caschi sonori”, Installazione alla Triennale di Milano (con Paolo Rizzatto), 1968 – Courtesy Archivio Ugo La Pietra.