Piccola indagine tra i prof e grande voglia tra gli over 50 di andare in pensione. Niente di nuovo? Qualcosa si, ovvero la fatica di una scuola che valuta, misura, non boccia e perde per strada il proprio ruolo. Tutto perduto? Certo che no e qualcuno lo dimostra…
Quando suonerà la campanella e finirà questa fatica?
Il riferimento letterario a L’ultima lezione di D.H.Lawrence è finalizzato principalmente ad entrare nel vivo di un refrain che da qualche tempo sento con frequenza eccessiva e determinata, ovvero il desiderio inderogabile, presante di lasciare la scuola e andare in pensione. Fascia anagrafica: over cinquanta, più precisamente fra cinquantacinque e sessant’anni.
Niente di nuovo, distanza generazionale, energie sempre più limitate, eppure c’è dell’altro.
Provo a mettere insieme valutazioni e riflessioni che sono andata raccogliendo sullo stato della scuola (almeno di alcune scuole superiori di Milano), in questo ultimo anno. Premetto che mi sono rivolta a persone che si impegnano e che si appassionano all’insegnamento, escludendo deliberatamente voci ipercritiche, approssimative e/o ideologiche .
L’innesto della legge 107, la Buona scuola per capirci, privo di direttive chiare e credibili, su una struttura scolastica già in affanno, sta creando non poca confusione. Prendiamo ad esempio l’alternanza scuola-lavoro. Il progetto di ‘scuola aperta al mondo del lavoro, del volontariato, dello sport e delle professioni’ rappresenta una novità positiva invocata da molti e certamente in linea con gli altri paesi europei. La realizzazione però è tutt’altra cosa. Per non parlare delle ore sottratte alla didattica. E su questo sospendo il giudizio. Meglio l’aula o l’esperienza diretta col mondo esterno? Per quanto ne so, lo studente italiano che va all’estero sa più cose, ma ha meno esperienza di vita pratica.
Ilde Incorvati, brillante insegnante di Inglese in un liceo milanese mi fa notare che la legge in questione, condivisa o no, si scontra con quanto previsto dal contratto dei dicenti (peraltro non rinnovato da sette anni ) e ciò non è cosa da poco. Gli insegnanti che si spendono con generosità lo stanno facendo in modo disattento e ignari dei loro diritti, e i nuovi dirigenti, fiduciosi o forti dei loro nuovi poteri, si dimenticano, in malafede o no che stanno spingendo i loro insegnanti con richieste che sono in contraddizione con il loro contratto di lavoro. Un esempio per tutti, la formazione, quella che un tempo si chiamava aggiornamento: la legge 107 la prevede obbligatoria e di ingente rilevanza , il contratto la ritiene libera e retribuita.
Una bella quantità di denaro è stato investito nella ‘buona scuola’ per dotarle di tecnologie: gran parte per dare agli istituti le lavagne multimediali, computer, collegamento Skype e tanto altro ancora. Una vera manna per chi sa usarli in modo consapevole. Gli insegnanti ultra cinquantenni hanno fatto fatica ad accostarli e ad utilizzarli con adeguata velocità e disinvoltura. Sta di fatto che anche questo profluvio telematico, quello che la collega chiama integralismo tecnologico, contribuisce ad allontanare il docente dalla cattedra e a renderlo sempre più un facilitatore, un contabilizzatore di competenze a tutela di ragazzi individuati con sigle diverse a seconda del disagio
Misurare, misurare, misurare, produrre valutazioni personalizzate, non bocciare (sull’argomento Ernesto Galli della Loggia ha fatto un’analisi lucida e impietosa sul Corriere della Sera dello scorso 28 aprile ), dare a tutti gli studenti l’opportunità di esprimersi secondo il loro talento, sono gli imperativi ai quali diventa sempre più difficile sottrarsi. E ci si distrae. E non ci si accorge “che si fanno di canne alle sette del mattino, che sono vessati dai prepotenti, che a 16 anni non hanno ancora capito se sono maschi o femmine, che sono soli……” , oppure che la tua studentessa quindicenne ha partorito la scorsa settimana e sei venuto a saperlo dalla compagna del padre, la quale a sua volta se n’è accorta la settimana prima del parto.
Ne sono abbastanza certa: il cantico delle competenze non paga.
Ma torniamo al tema principale. È sufficiente tutto questo per far dire a molti colleghi (la mia campionatura è certamente limitata) che non vedono l’ora di lasciare la scuola? È il carico di lavoro o la percezione di fare tanto ma di girare a vuoto?
O si tratta della diffusione sempre più massiccia del burnout, che è diventato il capitolo più importante dei manuali di Psicologia del lavoro? È possibile, visto che il fenomeno si abbatte letteralmente sul mondo delle professioni ad alta implicazione relazionale e che per gli insegnanti si vanno istituendo sportelli di ascolto sempre più numerosi, in prima linea Milano. Voglia di pensione dunque e grande desiderio di abbandonare il campo, ma non è così per tutti.
Dalla mia indagine emergono due voci in netta controtendenza. Annalisa, bocconiana, esperienze nel mondo dell’economia e poi l’approdo tardivo nelle aule. Alla domanda “Anche tu, come la grande parte degli over cinquanta, non vedi l’ora di andare in pensione ?” ha risposto “sinceramente no, forse perché è lontana. Comunque andare a scuola non mi costa molta fatica e mi richiede infinitamente meno energie di quelle che potrei spendere”. Sulla stessa lunghezza d’onda Elefteria che, alla stessa domanda e senza l’ombra del dubbio dice “Affatto, ho dei progetti e delle iniziative in corso, non tutto scorre liscio ma i risultati vengono”. Sempre lei, Elefteria – nomen omen – libera da ogni sospetto di passatismo, si muove già nella didattica del futuro è alla richiesta “Come vivi la scuola in questa fase?”, risponde in maniera sorprendente: “Sperimento e faccio innovazione usando multimedialità e aula 3.0 (uno spazio innovativo che funziona come laboratorio di ricerca attiva, basato sulla flipper classroom, la lezione capovolta con gli studenti in cattedra ), per esempio ho fatto fare video in francese sull’età delle rivoluzioni ( faccio EsaBac ), o video e libri di poesie sulle mostre che vediamo”. (Per i non addetti ai lavori l’EsaBac consente a studenti italiani e francesi di conseguire in un unico esame due diplomi in contemporanea , l’Esame di stato italiano e il Baccalaureat francese).
La situazione, come si può vedere, si presenta abbastanza sbilanciata verso la critica e una discreta dose di sconforto, con qualche punta di determinazione e di fiducia nel nuovo. Mentre quest’anno scolastico si chiude, arriva inaspettatamente la notizia del raggiunto accordo fra il Ministero dell’Economia e il Miur, il Ministero dell’Istruzione con la benedizione delle più importanti sigle sindacali, dopo mesi dì interlocuzione priva di spiragli. Saranno 52 mila i docenti immessi in ruolo dal prossimo settembre, di cui solo 21 mia in sostituzione di chi va in pensione, 16 mila a copertura di posti vacanti, 15 mila nuovi incarichi assegnati a supplenti.
Attenzione però: non posti in più, sia chiaro, ma quelli di cui le scuole non possono fare a meno.