Schiff si fa in quattro e chiude il cerchio. Romantico

In Musica

Andras Schiff al Conservatorio con il ciclo “Le ultime sonate” mette in luce un pianismo nobile e studiato nei minimi particolari ma non sempre convincente

Il Sir della tastiera non si smentisce mai. L’Andras Schiff sentito al Conservatorio di Milano lunedì sera è un musicista nobile, un pianista (e non è cosa scontata oggi) che ha pensato e ripensato, che ha scavato nel profondo nell’arco di una lunga carriera ogni partitura che propone al suo pubblico.

Il ciclo Le ultime sonate (prossime date 11 gennaio e 21 marzo 2016) proposto quest’anno per Serate Musicali vede tre appuntamenti dedicati ai quattro pilastri fondamentali del Classicismo e Romanticismo viennese – Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert – accostando le loro ultime tre sonate pianistiche in rigoroso ordine cronologico.

Superbo l’inizio con la Hob XVI:50 di Haydn. La triade di do maggiore iniziale, suonata con il solo dito indice, ci immerge in un clima giocoso in cui mano destra e sinistra si “fanno il verso” a vicenda. Il tocco di Schiff è magistrale su questo tipo di repertorio, cristallino e spensierato, ma anche impalpabile in quei momenti – mi riferisco soprattutto alle quattro battute in pianissimo della ripresa del primo movimento – in cui Haydn diventa antesignano di una musica che sarà. L’effetto a carillon con l’utilizzo del pedale di risonanza lunghissimo (il Beethoven della Waldstein arriverà solo 10 anni dopo!) è reso perfettamente dal pianista ungherese.

Ancor più sorprendente la Piccola sonata per dilettanti k 545 di Mozart suonata da Schiff con tocco fanciullino su un Bosendorfer dal suono un po’ meno potente rispetto allo Steinway.

Meno convincenti invece le prove sulla sonata op. 109 di Beethoven e sulla D 958 di Schubert. Pur rimanendo esecuzioni notevoli e molto ben strutturate, il suono non persuade fino in fondo. In Beethoven manca quel peso del braccio sulla tastiera che produrrebbe sonorità più piene e rotonde e quell’attacco al tasto da vicino che riempie ogni nota di tutti gli armonici.

In Schubert il suono limpido di Schiff non si addice a quel senso di irrisolutezza nostalgica che ispirano le composizioni (soprattutto quelle tarde) del compositore viennese. Sono queste forme sonate che non trovano una sintesi come in Beethoven, temi che sono sempre solo giustapposti l’uno all’altro, mai in contrasto tra di loro. E qui sta l’altra tremenda difficoltà dell’esecutore, non pienamente superata da Schiff, di trovare un’unità e una continuità nel discorso musicale.

Ma non a caso il pane quotidiano di Schiff è e rimane Bach. Lo studio maniacale del contrappunto ha reso impressionante la sua capacità di cantare le voci interne e i bis ne sono una prova lampante, a partire dalle Geistervariationen di Schumann passando per l’incipit dell’intermezzo op. 117 n° 1 di Brahms, giusto per chiudere il cerchio con il romanticismo tedesco.

Il primo tempo del concerto italiano suonato in extremis in grande scioltezza, con tutto il pubblico già in piedi, suggella il legame tra il pianista e il “padre originario dell’armonia”.

Andras Schiff per il ciclo “Le ultime sonate”  al Conservatorio  (prossimi appuntamenti: 11 gennaio e 21 marzo)

Immagine di copertina di Vico Chamla

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