“Ultimo piano” è il romanzo d’esordio di Francesco d’Isa: un viaggio caleidoscopico alla ricerca del porno totale, del godimento assoluto
Porno totale sembra quasi un’indicazione di genere, un po’ come ‘romanzo totale’. È il sottotitolo di Ultimo piano, romanzo di esordio di Francesco d’Isa. Ci si aspetta quindi di trovarsi a leggere molte scene di sesso, descritte minuziosamente, nei più sordidi ed eccitanti dettagli, un po’ alla Palanhiuk di Gang bang insomma. O almeno di trovarsi di fronte una quantità di nudo esplicito almeno alla Lars von Trier.
Sotto questo punto di vista il porno di Francesco d’Isa delude le aspettative: di sesso non ce n’è poi così tanto, la parola “cazzo” non viene praticamente mai usata e in generale la lingua non si abbandona mai al disfemico, tendendo piuttosto verso una pronuncia medio-alta, in una sintassi assolutamente lineare. Insomma: se qualcuno volesse farci un film non finirebbe su Youporn.
Nonostante ciò, il porno rimane l’elemento principale di Ultimo piano, ma piuttosto come categoria, come rappresentazione del desiderio. La trama del romanzo è semplice: Claude, regista di film per adulti, decide di girare la migliore pellicola possibile, un porno totale che polverizzi la categoria stessa di pornografia: dopo di quel film il porno non sarà più possibile perché sarà il desiderio stesso a venir superato e annullato.
Quello che c’è di interessante – e che in definitiva lo rende un buon romanzo – però non è in questo impianto filosofico, a volte un po’ troppo da manuale; piuttosto è da cercare altrove: nel luogo, nel tempo, nel narratore.
Il luogo
L’azione – salvo alcuni flashback sull’infanzia di Claude – si svolge a Varsavia. Ma di Varsavia non vediamo nulla, la città è come se non esistesse, tutto accade dentro il mastodontico grattacielo della Perverse Angels (la casa produttrice di film porno), un intero universo è compresso e riprodotto lì dentro. Il fuori sembra non esistere, tutto è intrappolato dentro, con un senso di angoscia crescente man mano che si avanza nella lettura. Il palazzo è costruito con una fastosità direttamente proporzionale al piano: i primi sono occupati dai derelitti della società, l’ultimo dal capo Frank Spiegelman. Tutto riproduce una gerarchia e tutti vogliono prendere l’ascensore e salire di piano. Tutti vogliono potere e fama:
«Ok» ammise la sorella «Non voglio fare la pornostar per sempre, ma credo che sia il modo migliore per avere potere e fama da subito. Poi si vedrà». «Dunque è questo che vuoi? Potere e fama?» le chiese lui. «È quello che vogliono tutti» (pag. 32).
E lo stesso grattacielo è ideato nella sua struttura per amplificare questi desideri e riuscire ad asservire di più gli abitanti dei piani inferiori:
Ai piani superiori tolleravamo questa criminalità minorile, perché il suo effetto era consolidare il nostro potere; agli occhi di questi ragazzi non vi era destino più ambito che diventare attori della Perverse Angel, e, come si usa dire, il vero servo è quello che invidia il padrone. Quanto alla tranquillità degli inquilini dei piani alti, la garantivo grazie a un servizio di sicurezza e ascensori diversificati: alcuni arrivavano solo fino al ventesimo piano, mentre altri erano accessibili esclusivamente dal trentesimo in su (pag. 74).
Insomma l’unico modo per prendere l’ascensore è diventare servi del potere: diventare porno attori per la Perverse Angels e incrementare i suoi guadagni.
Il tempo
Non sappiamo di preciso quando sia ambientato il romanzo. I personaggi parlano di euro, ma le vicende si svolgono a Varsavia, è ipotizzabile quindi che ci troviamo in un futuro dalle atmosfere vagamente distopiche (e il sistema di controllo che governa il grattacielo non fa che confermarlo: troviamo, incrociate, reminiscenze da 1984 e il modello del panopticon), dove l’Europa è diventata una Federazione.
Il tempo che sembra scandire le esistenze dei personaggi, poi, sembra essere quello del sesso: oltre ad espletare le esigenze fisiologiche non succede quasi nulla che non abbia a che fare, in un modo o nell’altro, con il porno.
Il narratore
Personalmente il narratore è stata la parte del romanzo che ho apprezzato di più, sin dalle righe iniziali: Mi chiamo Frank Spiegelmann e sono un uomo orrendo. Sono alto un metro e quarantasei, ho qualche ciuffo rossiccio appiccicato al cranio e non esito a definirmi calvo; inoltre sono grasso, flaccido, col naso a patata e la bocca sottile. I miei occhi, stretti e vagamente orientali, sono privi di qualunque fascino esotico e mi rendono simile a un grasso felino malato. Nonostante questo sono circondato da belle donne, che potrei cogliere come mele da un albero che l’Onnipotente ha posto alla mia ridicola altezza: il motivo è che sono il proprietario della più grande casa di produzione pornografica della Federazione Europea – e di mille altre cose, tra immobili, ristoranti, alberghi e case di cura.
È fin troppo facile scorgere dietro questa descrizione così indecorosa di sé un ego spaventosamente grande e vanesio. Tutta la vicenda ci viene raccontata in presa diretta da questo narratore interno che non prende mai parte all’azione (salvo sul finire, come un diabolus ex machina, come anticipa l’autore stesso), ma vi assiste in tempo reale e non si capisce bene come: Mindy chiuse la mano attorno all’anello ed esplose in un pianto così composto da non riuscire nemmeno a intaccare il rimmel che le incoronava le palpebre. È mio costume rispettare le lacrime del gentil sesso, dunque distolsi lo sguardo e pensai ad altro. Il narratore non è presente nella scena, eppure dalle sue parole sembra che lo sia. Il perché l’ho già anticipato: è una sorta di grande fratello che vede tutto. E non siamo neanche troppo sicuri di poterci fidare di quello che dice; dopo averci raccontato un episodio nei minimi dettagli alla fine ammette: No, sto mentendo. Non accadde niente di simile.
Insomma, manomette la storia, ci racconta tutto con i suoi occhi, pur non essendoci mai si percepisce dovunque la sua ingombrante presenza. E tutto per anticipare il coup de théâtre finale. Infondo al nostro spregevole Spiegelmann – che alla fine riesce anche a starci simpatico a forza di esibire i suoi difetti – di raccontarci la storia di Claude, del suo porno totale, dei suoi problemi esistenziali, della sua difficoltà di trovare una identità dai contorni precisi, del suo ambiguo rapporto con la sorella Claude (sì, i due hanno lo stesso nome), non importa molto.
Lui vuole raccontarci la sua di storia, la sua storia di uomo brutto, repellente, che è comunque riuscito a mettere il mondo ai suoi piedi. E riesce a farlo come Hansel e Gretel, lasciando delle molliche di pane qua e là nella trama di una storia che non è la sua.
Francesco d’Isa, Ultimo piano (o porno totale), Imprimatur, 2015, pp. 208, 16€
Immagine: Pavullo nel Frignano (Modena), Nadsat, rituali e linguaggi della giovinezza