“L’arte della ribellione” di Elio Espana racconta le imprese e mostra le opere del più famoso graffitista contemporaneo. La cui identità è peraltro ignota. Ma non la sua indole polemica e battagliera, che si infiamma per il Muro tra Israele e Palestina come per la difesa delle sue opere. Un personaggio che suscita discussioni e polemiche, geniale per molti, per altri poco più che un teppista da strada
Fin dall’antichità l’uomo ha lasciato un segno del suo passaggio, prima attraverso i graffiti all’interno delle grotte, poi con le parole tramandate di bocca in bocca, infine attraverso la parola scritta nei libri e nei testi. Questi segni raccontano una storia, quella di chi li ha scritti, e la situazione in cui si trovavano i protagonisti della stessa. Facendo un lungo salto temporale fino all’oggi, si può trovare una forte somiglianza tra i segni/geroglifici di un tempo e i graffiti che popolano i muri delle nostre città. Anch’essi, infatti, raccontano una storia. I “graffitari” si firmano con un tag (equivalente a un nome d’arte) e hanno uno stile personale che li contraddistingue dagli altri.
Uno dei maggiori esponenti del cosiddetto “mondo dei muri” è Banksy, protagonista del documentario L’arte della ribellione di Elio Espana. Vive in Inghilterra, viaggia molto, e quasi nessuno conosce la sua vera identità. Qualcuno pensa sia il cantante dei Massive Attack, Robert Del Naja, anche lui esperto in graffiti ma per ora nessuna conferma è arrivata. Insomma, Banksy c’è ma non si vede. Forse è questo che lo rende unico nel suo genere (e ricercatissimo). Il documentario racconta di alcune sue grandi opere murarie, ma non solo. Negli anni ha compiuto azioni di propaganda artistica fuori dal comune, alcune con maggior successo rispetto ad altre. e il lavoro di Espana si concentra proprio sul lato più “fuorilegge” dell’artista, raccontato attraverso le parole di amici e collaboratori.
La domanda che ci si pone alla fine della visione è: “quali limiti ha l’arte? Quando una scritta sul muro, o un disegno, diventa arte, e quando solo ribellione?”. Fino a che punto si può spingere una persona per lanciare un messaggio? Nonostante le sue siano opere stupende, catartiche, cariche di ideologia sociale, Banksy viene fortemente criticato (insieme agli altri writer) da una larga fetta dell’opinione pubblica, che li ritiene semplicemente dei “teppisti”.
Il documentario analizza in particolare un famoso lavoro di Banksy, centrato sul muro che divide i Territori Palestinesi dallo Stato di Israele. A Betlemme c’è un albergo che si affaccia proprio su un punto di quel muro, e l’artista ha deciso di ricostruire l’hotel, decorarlo, e chiamarlo “l’hotel con la più brutta vista del mondo”. Ma non si è fermato qui: ha colorato, rendendo più belli, alcune parti del muro stesso, allo scopo di lanciare un messaggio di speranza per il futuro.
Insomma, chi è Banksy? Un writer, un artista, un uomo comune? Forse tutte e tre le cose, forse nessuna. Comunque è raro trovare dei suoi lavori in un museo che siano stati approvati da lui. Per vederlo si può cercarlo in alcune città inglesi o in giro per l’Europa. Una sua particolarità è che vuole sì diffondere, vendere la sua arte, ma stando alle regole che lui ha dettato, perché non accetta che la sua arte venga messa in un museo senza il suo consenso. Importanti come lui, ci sono stati per ora solo Keith Haring e Jean Micheal Basquiat, grandi artisti e writer del XX secolo, precursori d’un mondo creativo sempre più in crescita e all’avanguardia.
Il documentario è interessante perché rispecchia e rispetta la volontà di Banksy di non essere riconosciuto, nonostante molti dei video lo vedano protagonista (oscurato o mascherato), ma gli rende giustizia fino a un certo punto. Perché l’arte di Banksy è (e dovrà restare per sempre) pubblica, e sarà il pubblico stesso, fatto principalmente di passanti che guardano i muri che ha decorato, a determinare la sua bravura, il suo successo.
Banksy – L’arte della ribellione documentario di Elio Espana con Banksy, Ben Eine, Felix Braun