Irrealismo magico di Gifuni, Bolaño and company

In Teatro

Bolaño, Gifuni e gli altri: Milano (e tutta Italia) ama la narrativa sudamericana. E la porta a teatro…

Dire «narrativa sudamericana del XX secolo» è un po’ come dire «oceano», «universo», «polvere»: uno spazio di culture, suggestioni, odori che non conoscono limiti o geometrie conchiuse. È un po’ riduttivo, ma in fondo dà la misura (se di quest’ultima ci sia bisogno) di quanto questa sterminata, eterogenea porzione di mondo abbia partorito narratori in grado di descrivere una magia sfacciatamente contemporanea eppure acidamente primordiale. Una sorta di macro-letteratura impossibile da comprimere o descrivere in poche battute, ma che non smette di affascinare, di creare epigoni, di scandalizzare. Autori come Borges, Cortázar, Gabriel Garcìa Márquez, Amado, madame Allende, Marcela Serrano… ficcarli tutti nello stesso calderone è quasi criminale. Sconoscere il contributo fondamentale, la forte interconnessione civile, politica, morale (e magica) in cui sono immerse le loro storie.

Corrispondenze di virtuosi sensi che piantano radici in un legame viscerale, profondissimo con le molteplici sfaccettature dei Paesi che compongono la realtà sudamericana, che anche il teatro italiano ha saputo trasfigurare in maniera intelligente e creativa. Basti pensare alla figura di Roberto Bolaño: lo scrittore cileno, poeta e autore dal realismo labirintico ma concreto, tanto di tendenza negli ultimi anni da non poter «contaminare» anche la scena. Dal 19 al 22 maggio è andato in scena, al Teatro Litta, The Bolaño Project: il duo notfoundyet, composto da Laia Fabre (videomaker e pittrice) e Thomas Kasebacher (performer, artista visivo e videomaker) mette in scena, ispirato da 2666 dell’autore, una concept performance su drammaturgia di Haiko Pfost. Un lavoro strutturato su più livelli di confronto, in cui il romanzo regola filologicamente la prima tranche della performance, che sarà seguita da altre quattro parti in corrispondenza alla struttura dell’ultimo romanzo del cileno (diviso in cinque componenti). Mistero, realismo, giallo: la ricerca dello scrittore tedesco Benno von Arcimboldi da parte di un gruppo di critici è al centro del lavoro del duo, che spiazza portando sulla scena suggestioni e stimoli derivati e partoriti da altri artisti. Un lavoro in lingua inglese, profondamente sperimentale, che sintetizza alla perfezione quanto l’influsso di un autore come Bolaño possa incidere nella mente di chi con creatività e inventiva lavora.

Schauspiel Leipzig

Ancora Bolaño, qualche settimana fa, è stato al centro di uno spettacolo andato in scena al Teatro Franco Parenti: Amuleto, forse uno dei romanzi più virulenti, magici come può essere magico il rapporto della Letteratura con la Storia che cambia e trasforma le esistenze di chi la vive e ne viene travolto. In Amuleto anche un bagno di un’Università può diventare un rogo di visioni e di poesia, un (non)luogo in cui la vita e la morte si intrecciano, come in uno sberleffo che non conosce sosta, come in un mistero che volutamente non vuole conoscere soluzione: nei panni della protagonista Auxilio, diretta da Riccardo Massai, una Maria Paiato impegnata in un tour de force all’impiedi che gioca e vampirizza con la parola, le sue malattie, la sua salvezza.

Ancora Bolaño senza spostarci troppo. Nei saloni di Via Pier Lombardo, il 23 e il 24 giugno, Fabrizio Gifuni prosegue con la sua fortunata serie di reading (dopo L’ingegnere Gadda va alla guerra di Gadda, Lo straniero di Camus e Ragazzi di vita di Pasolini) ispirato sì dal cileno, ma soprattutto dall’argentino Julio Cortázar, la cui eco riecheggia nel titolo dello spettacolo: Un certo Julio, assonante al Certo Lucas (1979) tradotto dalla brava Ilide Carmignani, si ispira ad alcune delle pagine più belle dello scrittore. Oltre ai momenti più significativi della carriera e dell’ascesa di Bolaño quale nomen immancabile in ogni salotto che si rispetti, sarà messo al centro il rapporto di profondo rispetto del cileno nei confronti dello scrittore argentino. Una Che mette al centro del suo processo narrativo, per l’appunto, una trasfigurazione della realtà ai tempi e alla mercede della fantasia e del grottesco, in un gioco altalenante che trova compiuta perfezione nel capolavoro Historia de cronopios y de famas del 1962, un trattato di zombie e di vivi illustri, un esempio antropologico di come si dovrebbe calibrare la fantasia e porla nel bilancino insieme alla razionalità senza cavarne fuori un racimolante succo di ecumenici, buoni sentimenti – e un pensiero dedicato va a Poste e telecomunicazioni, ospitato nella sezione Occupazioni insolite della raccolta di brevi racconti, peraltro introdotti nella versione Einaudi da Italo Calvino. L’omaggio di Gifuni, che è protagonista non solo di letture intense ma soprattutto di omaggi sinceri, approfonditi e sentiti agli autori che «canta», incuriosisce e stimola alla partecipazione.

Lodevole e degno di nota, peraltro, il recital di Laura Marinoni ispirato all’Amore ai tempi del colera di Gabriel Garcìa Márquez: una «operita musical per cantattrice e suonatori» che racconta una passione macerata e portata a nuova vita dallo scorrere dei decenni, un sentimento prima giovanile e poi crepuscolare, in tournée nei teatri di tutta Italia con l’intensa e apprezzatissima interprete.

 

amore_ai_tempi_del_colera_copertina_ph_ilaria_costanzo_0

E per concludere, viriamo in direzione del Teatro Elfo Puccini di Corso Buenos Aires, dove è andata in scena La danza immobile tratta dal romanzo del peruviano Manuel Scorza (1928-1983), autore di romanzi dedicati alla condizione dei più deboli sottomessi e martirizzati al gioco dei latifondisti, dei potenti, di quelli che rubano le terre e il pensiero. Un viaggio complesso e stratificato che unisce prosa e poesia, e che nello spettacolo in scena alla Galleria di corso Buenos Aires rivive grazie all’allestimento del bravo Corrado Accordino, regista e interprete di un dramma dell’umanità in cui due signori, un guerrigliero e un ex guerrigliero, si pongono davanti a un duello simbolico che rimette in circolo le loro scelte, l’impegno civile, il legame con la Storia e con l’Amore, in una grande pentola che, quando presenta il conto, non può permettersi di fare sconti.

E di sconti la narrativa sudamericana non se ne può permettere; si concede, umida e barocca, secca o storicistica, ricca di emozioni e gravida di umanità. Viaggia tra magia e crudezza, annettendole a un unico, inimitabile amalgama. È come un grosso stato di pensiero, come una considerazione dalla quale non ci si vuole staccare una volta appresi i meccanismi. Qualcosa di troppo grande, forse; qualcosa che, anche a teatro, trova ragion d’essere. E di farsi (ri)amare. Aspettando trepidanti, l’anno prossimo, di capire in quali modalità i cartelloni dei teatri ne coglieranno il valore.

 

(foto di Fabrizio Gifuni di proprietà di Ilaria Scarpa) 

(foto di Laura Marinoni di proprietà di Ilaria Costanzo) 

 

Un certo Julio, con Fabrizio Gifuni, al Teatro Franco Parenti il 23 e il 24 giugno

 

(Visited 1 times, 1 visits today)