Musica, teatro, installazioni, video. L’evento-concerto che andrà in scena domani e venerdì tra le “torri” di Kiefer chiude con una performance quanto mai attuale (sottotitolo: Incontro con l’Acqua) la rassegna di Milano Musica che nonostante le restrizioni ha avuto un lusinghiero successo
L’acqua, il (Mare) Mediterraneo, il Giappone, New York, Yoko Ono, un compositore tedesco fuggito dall’Argentina, un baritono-colonialista, un controtenore amazzonico, un movimento artistico dell’avanguardia anni Cinquanta-Sessanta, una “tragedia buffa” della musica contemporanea europea anni Settanta. Hanno qualcosa in comune? Nulla a prima vista, tutto in realtà. E possono convivere in uno stesso evento fatto di musica, teatro, installazioni, video e performance? Lo vedremo giovedì 25 e venerdì 26 novembre nel giusto finale di Milano Musica, al Pirelli Hangar Bicocca (ore 20), sotto lo sguardo silenzioso e incombente dei Sette palazzi celesti di Anselm Kiefer.
Questa riunione di diversità s’intitola Flu水o ed è l’invito a un “Incontro con l’Acqua” come elemento primo del mondo e come specchio di mare, il Nostro, in cui si consumano, ieri come oggi, oggi più di ieri, le contraddizioni dell’Europa.
Flu水o è un progetto multiplo e complesso, probabilmente più difficile da descrivere che da vivere, domani e venerdì, nell’immersione totale di sollecitazioni in cui il pubblico si troverà a muoversi (in piedi, nessuna sedia), fra sette “torri” su cui saranno alloggiati gli strumenti e cinque stazioni in cui si eseguiranno altrettante, diverse performance.
Proviamo ad andare con ordine.
L’acqua è l’elemento che ha forse esercitato le più alte fascinazioni sull’essere umano, come osservatore in meditazione, come artista dell’occhio e dell’orecchio. Allo scorrere fisico dell’acqua e alla simbologia del continuo movimento si è ispirato il movimento Fluxus, che dalle radici pensierose dell’antico Giappone ha conquistato una dimensione più internazionale confluendo nell’America dell’arte – visiva, concreta, sonora – più antiaccademica e sperimentale degli anni Cinquanta-Sessanta. Yoko Ono è stata artista Fluxus, non prima né più importante artista del gruppo, accanto alla giapponese Shiomi Mieko, al coreano Nam June Paik e, per un certo periodo, a Toru Takemitsu, uno dei più importanti, riflessivi ed estatici compositori giapponesi della seconda metà del Novecento.
Il Mare Mediterraneo è lo scenario liquido di Mare Nostrum, azione teatrale pensata e messa in musica nel 1973 da Mauricio Kagel, argentino emigrato in Germania: il più eccentrico fra i protagonisti della scena europea – sperimentale o colta, scegliete voi – nella seconda metà del Novecento. Scritto per due voci e sei strumenti (flauto, oboe, violoncello, arpa, chitarra, percussioni), Mare Nostrum satireggia il paradossale confronto fra un pensiero coloniale eurocentrico (il baritono) e la vergine visione di un colonizzato amazzonico (il controtenore) che nel luccichìo del Mediterraneo scorge tutto quel che di malato a uno straniero non può sfuggire. Ascolto da non temere, quello di Mare Nostrum: a renderlo fluido e godibile, sul profilo atonale della musica di Kagel piovono i colori di molte citazioni mediterranee, da Debussy al Mozart della Marcia turca.
In Flu水o, progetto che ha vinto l’Italian Council nel 2020, (in fondo) due mondi si guardano, si riconoscono e si congiungono, e ciascuno ha bisogno di interpreti adeguatamente diversi per ricrearli.
Mare Nostrum può contare sull’Ensemble Bernasconi, ovvero sulla freschezza e sulla qualità cameristica dei giovani dell’Accademia della Scala guidati Arnaud Arbet, direttore che ha grande familiarità con la musica di Kagel e che il pubblico di Milano conosce perché ha contribuito al risultato importante di Fin de partie di Kurtág.
Il mondo di Fluxus rivive grazie a un bel grappolo di artiste della danza, del video, della performance – Chiara Bersani, Rossella Biscotti, Attilia Faravelli, Silvia Calderoni, Ilenia Cale, Anna Raimondi, Silvia Gribaudi – che reinventano diverse “azioni” dei protagonisti anni Sessanta, appunto Shiomi Mieko, Yoko Ono, Toru Takemitsu, Nam June Paik.
Anche Flu水o viene da lontano, inizia a farsi in Cina circa due anni fa, viene prodotto da Arthub di Shanghai/Hong Kong, a cura di Davide Quadrio, italiano vissuto per trent’anni in Asia, e nasce da un’idea di Luciana Galliano, studiosa esperta di musiche extraeuropee. Progetto realizzativo, regia e parte visiva sono di Alessandro Sciarroni e Andrea Anastasio. Ho Tzu Nyen girerà un film in cui l’opera di Kagel e le performances saranno come viste tra le acque del mare, e insieme a elementi dell’impianto scenico finale andrà a comporre una videoinstallazione che entrerà nella collezione permanente del MAN di Nuoro.
Bilancio finale.
Flu水o è il prodotto più coerente con la missione di una rassegna di musica contemporanea come Milano Musica, che con l’ultimo appuntamento tira le somme della sua trentesima stagione. I numeri sono di soddisfazione e di speranza: 6.000 presenze totali per i concerti a pagamento (nel 2019 erano 10.100), oltre 70.000 euro di incasso (85.500 nel 2019); sette sold out, 74% come media di occupazione posti, rispetto al 76% del 2019, e i due concerti in Scala (22 settembre e 16 novembre) a confermarsi picchi di afflusso.
Il programma del 2022, trentunesimo Festival, è già delineato, e diversi elementi lo segnalano in scia all’esperimento di Flu水o nella riscoperta di nomi, movimenti e “avanguardie” cui Milano Musica nel tempo aveva prestato scarsa attenzione, mantenendo un profilo italo ed eurocentrico a conservazione protetta.
In copertina: Flu水o©Courtesy of Pirelli HangarBicocca e Anselm Kiefer