La corda pazza va sempre tenuta buona: la rilettura di «’a Birritta» di Pirandello da parte di Malosti è una vera, piacevolissima rivelazione
Togliamo subito il dente: il Berretto a sonagli di Valter Malosti funziona alla grande.
Scomodare il termine «capolavoro», ormai, è un’azione superata: ma la rilettura del regista-attore di una delle commedie più taglienti e beffarde mai immaginata non soltanto aggira il rischio banalità, ma emerge come un vero e proprio gioiellino «espressionista», per mutuare la definizione di Rodolfo di Giammarco su Repubblica.
Confrontarsi con Pirandello non è mai semplice. Forse la via più felice è quella della semplicità più genuina: è in questo che la ricerca di Malosti – supportato da Teatro Dioniso – traccia un solco importante.
La commedia originaria, nella forma dialettale che il maestro di Girgenti aveva scritto per lo straordinario Angelo Musco (ah, come abbiamo ingiustamente dimenticato certi nomi…), trova nel gioco linguistico e nel preziosismo “orale” delle parole una chiave espressiva fondamentale.
Malosti, che è uomo di teatro intelligente, trasferisce il dramma della gelosia di Beatrice Fiorica, moglie di un uomo in odore d’adulterio, in uno spazio tirato a lucido, dove imperano rosso e nero, a metà tra una scena da Kammerspiel e un incubo beckettiano.
Al suo interno, il regista-attore fa consumare la tragedia farsa con cui tutti, negli anni, abbiamo imparato a misurarci: Ciampa, marito della donna con cui Fiorica pare intendersela e soprattutto dipendente di quest’ultimo, gioca all’equilibrio delle tre corde (la civile, la seria, la pazza) fino a quando Beatrice non scombussola tutto, fagocitata dall’istinto piuttosto che dalla razionalità.
Malosti rinvigorisce Ciampa con una prova in sottrazione, sporca nelle inflessioni e nella pronuncia, gloriosamente naturale e imperfetta: è forse l’interprete migliore che don Nociu potesse permettersi. Il testo viaggia tra i tempi con una disinvoltura invidiabile: non lo si può definire «attuale», né «obsoleto».
La sua grandezza è talmente percepibile che persino la definizione di «classico» è fuori luogo: ‘a Birritta ci pone, disgraziati, a confronto con le scelte e le responsabilità che dobbiamo contrattare con l’esistenza. Il confronto finale tra Ciampa e la signora Fiorica (Roberta Caronia) rappresenta un crescendo di inevitabile tensione, che culmina in maniera esagerata, pomposa, financo audace.
Malosti prende Ciampa e lo tratta – filologicamente – come un pupo: sbattuto, buffonesco, umiliato. Ma sempre in equilibrio: è pur sempre il gioco delle corde.
Lo stesso con cui si diletta la Saracena, colei che istilla in Beatrice il dissacrato fuoco della gelosia: una Paola Pace che ruba la scena a tutti (nella commedia interpreta anche la madre della protagonista). Roberta Caronia, spesso eccezionale, è moderna e al contempo antica: è talmente brava che sembra quasi di sentire il profumo della sua Beatrice. Si muove sul palco con un’elasticità nei movimenti – corporei e sentimentali – fluidi e scattanti, pronta a raccogliere la pesantezza, l’ansia e la paranoia della protagonista. Colei che gioca con il fuoco, colei per la quale si sono sprecati assunti come «Pirandello misogino», la donna del sospetto che si zittisce quando la sua smania trova parziale aderenza alla realtà.
Il berretto affianca con armonia Partitura K, di Fabrizio Falco, e l’Uomo dal fiore in bocca rivissuto da Gabriele Lavia: riletture da Pirandello al Parenti che sono profondamente “sentite”, originali, intelligenti.
E Malosti, che la portata straordinaria del testo di Pirandello l’ha colta appieno, la rilegge e la trasforma mantenendone la fragranza e la ricchezza. Lodi a lui per aver realizzato uno spettacolo che, quando finisce, vorresti continuasse ancora per un po’.
(per il video si ringrazia Teatro di Dioniso)
Il berretto a sonagli, al Teatro Franco Parenti fino al 26 febbraio