L’esordiente Kim Yong-Hoon confeziona una sorta di puzzle che gioca con i piani temporali e richiede allo spettatore parecchia attenzione e immaginazione. Una commedia nera che racconta il caos della vita e gli imperscrutabili intrecci del destino con un tono beffardo, un occhio rivolto ai grandi del cinema del suo paese, l’altro ai big di Hollywood. Bravissima la protagonista Jeon Do-Yeon
Nella scena iniziale di Nido di vipere, pregevole opera prima del coreano Kim Yong-Hoon, una pesante borsa piena di soldi viene infilata a fatica dentro un armadietto. Nell’ultima scena la medesima borsa viene ritrovata, estratta da un altro armadietto e rimessa in movimento. Verso dove non si sa. In mezzo succede di tutto, letteralmente, incrociando i destini di personaggi diversi ma ugualmente avidi, parecchio spregevoli ma infine sventurati, fra alberghi e bordelli, porti e montagne, detective e criminali. L’elegante borsa Louis Vuitton che tutti vogliono e (quasi) nessuno riesce a conquistare è una sorta di MacGuffin – come definiva Hitchcock gli espedienti narrativi che mandano avanti la storia indipendentemente dall’autentico valore dell’oggetto che viene cercato, rubato, inseguito e bramato.
E la galleria di personaggi che vediamo dibattersi come tante mosche nella rete del ragno non brilla certo per originalità, fra mariti violenti e assicurazioni sulla vita, killer silenziosi e feroci e poliziotti fin troppo loquaci. E naturalmente dark lady fascinosissime e letali, capaci di uccidere con incantevole disinvoltura e spietata efficacia. Niente che non si sia visto già migliaia di volte, ma confezionato con una tale abilità da lasciare se non incantati di certo ampiamente soddisfatti.
Certo, vengono in mente i film di Quentin Tarantino e quelli dei fratelli Coen, ma anche tanto cinema hongkonghese classico – quello capace di coniugare violenza estrema e poesia. C’è più di un sospetto di manierismo nell’intera operazione, ma il risultato è apprezzabile anche e soprattutto per l’onestà con cui vengono dichiarati influssi e ascendenze, da Fargo a Pulp fiction. E per la scelta di costruire la narrazione come una sorta di puzzle, che gioca con i piani temporali e richiede allo spettatore una discreta dose di attenzione e immaginazione.
Una commedia nera che racconta il caos della vita e gli imperscrutabili intrecci del destino con un tono beffardo, capace di dar conto della più assoluta disperazione, strappando però ogni tanto anche qualche sguaiata risata. Un meccanismo narrativo preciso, divertente, emozionante. Non c’è la profondità del cinema di un Bong Joon-Ho o di un Park Chan-wook, però c’è ritmo, intelligenza, capacità di trascinare e intrattenere. E un cast splendido, con in prima fila la bravissima Jeon Do-yeon, nei panni di un’abbagliante dark lady.
Nido di vipere di Kim Yong-Hoon, con Jeon Do-yeon, Woo-sung Jung, Yuh Jung Youn, Seong-woo Bae, Hyeon-bin Shin