Una godibile versione del classico di Goldoni
Riferimenti anni Cinquanta e neorealisti nella Locandiera diretta da Stefano Sabelli. Carlo Goldoni scrisse la commedia che ha per protagonista Mirandolina nel 1753. La parte fu pensata dall’autore veneziano per Corallina, la servetta della compagnia del capocomico Medebach. La vicenda ambientata, nel testo originale, a Firenze, fu definita da Goldoni come «la più morale, la più utile, la più istruttiva» delle sue commedie. La trama è presto sintetizzata.
Mirandolina gestisce da sola con l’aiuto del fedele cameriere Fabrizio la locanda ereditata dal padre. Alcuni dei suoi clienti, il marchese di Forlipopoli, il conte di Albafiorita e il misogino cavaliere di Ripafratta finiscono per subire la fascinazione per la bella locandiera che, alla fine, deciderà di sposare secondo buonsenso il suo unico aiutante, Fabrizio.
Siamo in pieno Illuminismo, Goldoni è un autore borghese che non risparmia critiche alla nobiltà e non lesina su ritratti di donne astute. Mirandolina è furba, si beffa dei suoi avventori, accetta i loro preziosi e ricchi doni. Si dimostra affabile per far ritornare i suoi clienti. È una donna libera, una donna lavoratrice e imprenditrice che non accetta di essere trattata come una serva dal nobile misogino cavaliere di Ripafratta a cui vuole dare una lezione. Architetta così il piano di sedurlo, di farlo innamorare e di ferirlo nell’orgoglio.
Lo spettacolo firmato dal regista Sabelli, in scena ancora per qualche giorno al Teatro Menotti, strizza l’occhio a Luchino Visconti e alle atmosfere neorealiste. Quando negli anni Cinquanta del Novecento, Visconti portò in scena La Locandiera, ricorda il professore Roberto Alonge, i critici Silvio D’Amico e Roberto De Monticelli si stupirono per l’interpretazione cruda di Marcello Mastroianni che risultò nei panni del cavaliere di Ripafratta violento, isterico, aggressivo. Gran parte della critica del tempo si sorprese per lo stile realistico della regia di Visconti e per il modo in cui venivano dette le battute goldoniane intrise, a tratti, di doppi sensi neanche troppo velati. Un’asprezza che anche lo scrittore Carlo Emilio Gadda riconobbe a Goldoni.
Una lettura scelta anche dal regista Sabelli e dall’attore Claudio Botosso. Un cavaliere di Ripafratta prepotente e iroso. Un uomo che non esita a spintonare e usare la forza con Mirandolina, interpretata dall’attrice Silvia Gallerano (pluripremiata per l’interpretazione del testo di Cristian Ceresoli La merda ). Una Mirandolina furba, ma forte e determinata nel dire no a un uomo che la costringerebbe a un rapporto di sudditanza. Una donna che si rivela sagace nella scelta di sposare Fabrizio (interpretato da Diego Florio), garanzia di libertà e di buona reputazione.
La girandola di avvenimenti di questa macchina che è la commedia di Goldoni si è tradotta nelle scenografie di Lara Carissimi e Michelangelo Tomaro. La Locanda denominata Vecchio Po, altro omaggio al neorealismo (ad ogni modo Goldoni passò alcuni suoi anni giovanili nella pianura padana, tra Pavia e Cremona), è un’accogliente palafitta dotata di molo privato e attracco a cui si arriva in barca tra giunchi, arbusti e tronchi. Così si apre lo spettacolo diretto da Sabelli. Il pubblico fin da subito è avvolto dall’ambiente naturale, vaporoso e acqueo e dalla fisarmonica del musico nascosto tra gli alberi, Angelo Miele. Presenza costante di tutto lo spettacolo.
Di sicuro effetto la scenografia. La locanda – palafitta si rivela dopo pochi minuti dall’inizio dello spettacolo una ingegnosa macchina scenica. Una specie di carillon suddiviso in stanze collegate da porte che si aprono e si chiudono, sbattono e ribattono. I cambi di scena sono scanditi dal continuo girare della struttura da cui salgono e scendono gli attori anche in senso contrario a quello della roteazione. Tutto lo spettacolo è permeato dai costanti riferimenti al varietà, anzi al «variété perché è francese» per dirla con le due commedianti Ortensia e Denjanira (Chiara Cavalieri ed Eva Sabelli) che irrompono sulla scena e se la spassano, senza scendere troppo a compromessi, con il Conte di Albafiorita (Giorgio Careccia), un po’ gagà un po’ malvivente.
Vanesio e canterino il marchese di Forlipopoli (Gianantonio Martinoni). C’è molta musica in questo spettacolo che al debutto milanese ha diviso il pubblico. Applausi scattati subito all’ultima battuta de La Locandiera, mentre Mirandolina-Gallerano stava ancora agendo in scena. Che cosa stesse dicendo l’attrice in dirittura della fine della prima milanese non è stato possibile sentirlo. Uso ormai invalso in molte sale milanesi.
La Locandiera, al Tieffe Menotti fino al 12 novembre