La Resistenza da Fenoglio ai Taviani

In Cinema

Piemonte, fine 1944. Negli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, l’esercito partigiano combatte nelle Langhe con crescente successo i nazi-fascisti, però molti morti ancora lascerà sul campo prima della vittoria. Ma “Una questione privata”, il nuovo film dei fratelli toscani ispirato al libro omonimo, uscito nel 1963 a pochi mesi dalla morte del grande scrittore, ha un altro tema fondante e parallelo: il giovanile triangolo sentimentale tra Milton, Giorgio e Fulvia, la ricca e bellissima ragazza che un anno prima hanno entrambi amato e corteggiato, quando ancora non avevano scelto di combattere insieme lo straniero invasore, e che forse a uno dei due si è concessa. Mentre l’altro, ora folle di passione, cerca la verità di quei fatti quasi in un’impossibile, suicida rivincita, sul campo di battaglia

Pochi quesiti sono in generale oziosi quanto quello, assai ricorrente, che rimanda all’effettiva fedeltà al testo originario di un regista e di uno sceneggiatore quando porta sullo schermo un libro di successo, peggio ancora se in qualche modo problematico, discusso, epocale. E questo non solo perché di un romanzo, come del resto di ogni opera creativa d’ingegno, quasi mai c’è una sola interpretazione possibile, una lettura autentica, oltretutto impermeabile al passaggio del tempo e alla mutevolezza dell’approccio soggettivo di chi legge – prendendo in prestito le parole dalla fisica verrebbe da dire alla relatività dei punti di riferimento dei sistemi di osservazione. Il problema è che il passaggio da un mezzo d’espressione a un altro, davvero diversi in tanti aspetti come lo sono un libro e un film, comporta quasi inevitabilmente la necessità dell’adattamento se non del “tradimento”, anche quando, e ciò accade nella maggior parte dei casi, c’è una sostanziale buona fede di fondo nel voler riprodurre la sostanza, il senso, l’atmosfera dello scritto anche nella sua rinascita per suoni e immagini su uno schermo.

Il discorso si adatta perfettamente a Una questione privata, che da romanzo uscito postumo nel 1963, un paio di mesi dopo la morte del suo autore Beppe Fenoglio, diventa, a distanza di 54 anni, un “film dei Fratelli Taviani”: ma in modo particolare, perché solo Paolo lo ha girato, mentre Vittorio s’è limitato a sceneggiarlo insieme a lui e lavorare con il suo materiale. Non più, insomma, il rito di dirigere una scena per ciascuno, come nei venti film precedenti (più due recenti miniserie tv), da San Miniato luglio ’44 (1954) a Maraviglioso Boccaccio (2015), premiati a Cannes, Venezia, Mosca, Berlino, ma, per dirla con Paolo “un continuo contatto durante la lavorazione e poi nel montaggio. Ma poi andavo io da solo in montagna a girare, e alla fine di ogni ripresa mi voltavo sul set a cercare il suo sguardo, come se fosse con me».

Fenoglio è stato probabilmente lo scrittore più ufficialmente resistenziale e al tempo stesso meno retoricamente resistenziale, tanto che considerava i temi e le storie, «la “materia partigiana” come una tappa necessaria ma transitoria del suo percorso di scrittore» (così si esprime Gabriele Pedullà nella ricca introduzione, scritta nel 2005, alla nuova riedizione del romanzo, uscita da Einaudi ET). Un complesso di testimonianze e spunti di partenza da trasformare in romanzo, letteratura.

Una questione privata ne è un esempio forse tra i più compiuti. Perché racconta la storia del giovane Milton, che fa la guerra in montagna ai nazi-fascisti già nella loro parabola discendente (siamo nel novembre 1944), e la fa con convinzione, nelle brigate azzurre badogliane, ma avendo sempre in mente l’amore infelice per Fulvia, la ricca, bellissima, per lui inarrivabile e francamente odiosa giovane ragazza che nell’estate dell’anno precedente, in una bella villa sulle colline sopra Alba, è stata il suo fantasma d’amore. Una trama di sguardi e discorsi, cultura e musica, sulle note di Over the Rainbow, che, scopre Milton all’inizio del libro, quando un anno e mezzo dopo torna nella magione sempre bella ma abbandonata per la guerra (Fulvia è scesa dai suoi a Torino, nonostante tutto luogo più sicuro dell’isolata campagna), ha in realtà diviso col suo più caro amico Giorgio, ricco e bello come Fulvia, e alla fine assai più ricambiato di lui.

Giorgio ora divide con Milton, anche se in un altro distaccamento, le battaglie nella resistenza in Piemonte, e quando viene catturato dagli “scarafaggi neri” della repubblica di Salò, definizione dell’epoca ripresa da libro e film, l’amico si lancia in una dissennata e solitaria ricerca di un soldato nemico da offrire in scambio, mettendo a rischio se stesso e le strategie dei gap della zona, spinto da un impulso irrefrenabile, militarmente anarcoide, che in realtà cerca senza successo di nascondere un’inconfessabile, prima di tutto a se stesso, realtà. Più che un gesto di lealtà verso l’altro, è questo lo strumento indispensabile per riavere Giorgio vivo e domandargli dunque se quel che ha sentito dire, e che lo strazia da giorni, è vero. Fulvia era, è innamorata di lui? Ed è successo qualcosa di serio tra loro, sul finire di quella magica estate, quando Milton era già lontano dalla villa, arruolato e poi fuggiasco?

Dunque “nel fitto della Storia”, come scrisse Fenoglio, cioè sul grande sfondo della Guerra di Liberazione che resta, nel libro e nel film, il contesto fondamentale degli eventi, e determina, plasma fatti, psicologie, motivazioni, c’è però in primo piano una “questione privata”, che non poco influenza i comportamenti dei protagonisti: e soprattutto il suo, quello di uno stimatissimo combattente con il cuore spezzato, in preda a una vero impazzimento sentimentale. Tanto che Italo Calvino, che amò molto questo libro, arrivò a paragonarlo all’Orlando furioso ariostesco come “romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti”. E certo, al di là del possibile “tradimento”, Fulvia nella mente di Milton resta a lungo un personaggio di angelicata statura.

Se nel bellissimo Cesare non deve morire i Taviani fecero irrompere con grande, appassionato realismo la ruvida realtà del carcere nella poesia di Shakespeare e nel più recente, rielaborato Boccaccio, hanno introdotto con una certa crudezza le cento novelle, per lo più “leggere”, del maestro toscano nel contesto della peste fiorentina, qui si muovono in un terreno che rasenta quasi il fantasy. E questo grazie all’esaltazione, in tutti i sensi, che regala a Milton un Luca Marinelli ispirato quasi fino all’eccesso (con lui Lorenzo Richelmy è Giorgio e Valentina Bellè interpreta Fulvia), e a una Resistenza un po’ svincolata dal suo ancoraggio geografico, affollata di piemontesi con l’accento romanesco (ma era davvero indispensabile?) e quasi sospesa nel tempo e nello spazio.

Il film si chiude con una sequenza dai toni anti-realisti, che in qualche modo sembra quasi rovesciare, perfino con una punta di sarcasmo, la prospettiva psicologica del racconto. Forse Milton è finalmente oltre, fuori dal suo incubo “privato”,  ma la Storia, quella che alla fine decide, potrebbe a questo punto dire la “sua” parola fine. Geniale chiusura per parole e immagini.

Una questione privata, di Paolo e Vittorio Taviani, con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy, Valentina Bellè, Francesca Agostini, Jacopo Olmo Antinori.

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