Domenica 22 ottobre si è tenuta all’Auditorium del Museo di Santa Giulia a Brescia una Lectio Magistralis di David LaChapelle, celeberrimo e iconico fotografo e regista americano, un viaggio per immagini attraverso l’arte che l’ha reso celebre.
Il grande fotografo americano – in dialogo con Denis Curti, curatore della mostra David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a beautiful land, fino al 19 novembre alla Pinacoteca Tosio Martinengo sempre a Brescia – racconta il percorso personale, professionale e artistico che lo ha portato a confrontarsi con Giacomo Ceruti, settecentesco maestro della cosiddetta pittura della realtà. Lo ha fatto nell’opera Gated Community, realizzata per Pinacoteca Tosio Martinengo nell’anno di Brescia e Bergamo Capitale Italiana della Cultura. Jole Martinenghi, giovane professionista della cultura che si occupa di storia e management dell’arte, ha assistito per noi all’evento e ci regala le sue riflessioni.
Ci sono Gucci, Dior, Louis Vuitton e Chanel tra le tende degli homeless di Los Angeles, sul marciapiede di fronte al Los Angeles County Museum of Art (LACMA), nel giorno in cui il prestigioso museo d’arte contemporanea ha appena concluso una raccolta fondi milionaria per il suo ampliamento: è Gated Community l’opera inedita da cui ha inizio la lectio magistralis di David LaChapelle nella chiesa rinascimentale di Santa Giulia a Brescia. La navata è affollata da un pubblico di tutte le età e LaChapelle si racconta mentre sopra di lui affreschi rinascimentali con scene della vita di Cristo fanno da cornice allo schermo su cui viene proiettato il repertorio iconografico sacro, tipicamente pop, kitsch e iperbolico della sua produzione artistica. Il setting sembra accompagnarci per contrasto nel suo immaginario surreale.
Gated Community è l’opera site-specific realizzata per Pinacoteca Tosio Martinengo su commissione di Fondazione Brescia Musei nell’ambito della mostra “David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land” curata da Denis Curti. Una fotografia specchio della “comunità chiusa”, quella dei ricchi contro i poveri, delle disuguaglianze e dell’emarginazione sociale, degli ultimi che non saranno mai primi, dei disperati e diseredati del nostro tempo: la comunità dei fragili che esplode nel silenzio assordante della 6h Street di Los Angeles. “C’è più comunità nelle tendopoli che tra le ville dei ricchi a Beverly Hills” afferma LaChapelle che, senza smentirsi, mette in scena un’immagine dai forti contrasti.
David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land, installation view, ph. Alberto Mancini
Da un punto di vista tecnico Denis Curti ci ricorda come la fotografia di LaChapelle sia una rappresentazione di costruzione, la cosiddetta staged photography, set teatrali quasi cinematografici dove ogni oggetto, ogni persona, è collocata in una ricostruzione precisa. L’artista ci richiama alla sospensione del giudizio e di incredulità di Coleridge: per entrare nel suo immaginario dobbiamo abbandonare qualsiasi canone convenzionale ed essere pronti a scenari impossibili, farci coinvolgere, ma sempre chiedendoci come è nata questa fotografia, perché è nata e perché è stata costruita. Da qui entriamo nel suo processo artistico. LaChapelle si chiede inizialmente se per rappresentare i senzatetto debba realizzare un reportage documentaristico, ma in una sorta di automatismo psichico lascia che l’immagine si manifesti davanti a sé: “Le tende erano lì, erano tutte lì, sotto alle palme in questo incredibile paesaggio di Los Angeles, una città colpita gravemente dal problema della povertà e della tossicodipendenza. Quando mi sono lasciato andare, ecco che l’immagine si è presentata sotto ai miei occhi. Tutto è venuto da sé”. Torna in studio dove organizza la lunghissima tendopoli e successivamente sovrappone i brand e loghi di moda sulle logore calotte in polietilene delle tende, simbolo stesso dell’impoverimento dell’anima nella società dei consumi.
David LaChapelle, Jesus is My Homeboy: Loaves & Fishes, 2003
In mostra, al fianco degli emarginati di Gated Community, l’artista presenta una delle sue serie fotografiche più celebri, Jesus is My Homeboy (2003), in cui un Gesù contemporaneo ma dall’iconografia classica si ritrova in metropoli moderne al fianco dei più fragili. Se venti anni fa LaChapelle si chiedeva “dove e con chi starebbe Gesù oggi se potesse scendere sulla terra?” oggi la risposta è ancora qui, nel mondo di strada straniante e dissacrante, in mezzo agli ultimi, quelli del mondo contemporaneo, dalle prostitute ai senzatetto. Un’operazione artistica che si relaziona con gli stessi emarginati di tre secoli fa, quelli dei dipinti di Giacomo Ceruti, che hanno lasciato temporaneamente le sale di Pinacoteca Tosio Martinengo per la grande mostra Giacomo Ceruti: a Compassionate Eye al Getty Museum di Los Angeles. In un attimo gli homeless di Los Angeles parlano ai mendicanti di Ceruti e li rendono estremamente contemporanei in un tributo del fotografo americano al maestro del Settecento lombardo.
David LaChapelle, Stations of the Cross I – Jesus is Condemned to Death (Los Angeles, 2023)
Nell’annus horribilis di guerre, emarginazione e miseria collettiva, Lachapelle riparte dalla condizione umana e dall’urgenza di raccontarne i paradossi, ancora attingendo dalle parabole evangeliche. Lo fa con Stations of the Cross la sua personalissima interpretazione della Via Crucis con cui si è guadagnato il premio alla carriera alla Biennale di Firenze. “Who is going to be my Jesus?” si chiede per due anni. Finché tutto avviene con un “sincronismo perfetto” quando si imbatte nel rapper italiano Tedua, “forse l’unico rapper senza tatuaggi” soprannaminato “il poeta” e dal volto espressivo e drammatico. La stessa drammaticità che LaChapelle vive nei corpi michelangioleschi alla sua prima visita negli anni ’80 della Cappella Sistina “atterrato dal sublime” di Michelangelo, artista guida nella sua produzione artistica e punto di svolta nella conversione e attenzione alla spiritualità che farà parte di tutta la sua produzione artistica.
David LaChapelle per Tedua, La Divina Commedia (Inferno), 2023
La lectio è un susseguirsi ininterrotto di riferimenti culturali e spirituali che arrivano forti a un pubblico letteralmente ipnotizzato. Tra immagini di un Cristo moderno umano e spezzato dalla Croce, grovigli di corpi nudi, ambientazioni desolanti e apocalittiche, rappresentazioni simboliche oniriche e dissacranti, la fotografia di LaChapelle diventa essa stessa un gioco di contrasti: attentamente pensata, preparata e costruita ma aperta all’imprevedibile, a quanto si manifesta senza preavviso, ai momenti epifanici che accadono in maniera sorprendente. “Questo tipo di sincronismo, di momentum, va oltre a me, è qualcosa di un altro mondo” afferma l’artista. Una spiritualità che accade (“non sempre, ma spesso”) si manifesta, ed entra potentemente nei suoi lavori, anche quelli considerati più profani e sacrileghi. Il pop non è che un espediente per ricondurre il suo pubblico a un rispetto e ad un’adorazione divina, a un’attenzione spirituale necessaria per vivere le grandi crisi dei nostri tempi.
La lectio sembra non volere terminare mai, il tempo stringe e le mani alzate dal pubblico restano tante. È un giovane l’ultimo a prendere parola “io sono ateo, Dio è troppo lontano da me, ma con la tua opera mi resta un messaggio di speranza”. E si realizza così la missione ultima dell’artista, di vedere l’opera compiersi quando viene completata di senso da chi ne fruisce.
David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia, fino al 19 Novembre 2023
In copertina: David LaChapelle, Gated Community, 2022 © David LaChapelle