“Una volta nella vita” dalla francese Marie-Castille Mention-Schaar regala verità storiche e racconti di vita, in una classe multietnica della Francia d’oggi
I valori mai banali di tolleranza e di umanità sono i protagonisti sul grande schermo grazie a un avvenimento reale, che ispira il soggetto di Una volta nella vita, diretto dalla regista francese Marie-Castille Mention-Schaar. Nell’odierna banlieue di Créteil, a sud est di Parigi, la brillante professoressa di storia Anne Gueguen (Ariane Ascaride) del liceo Léon Blum decide di coinvolgere i suoi studenti, che sono di differenti professioni religiose e provenienze etniche, in un concorso nazionale dedicato alla Shoah. La proposta, nonostante alcune iniziali difficoltà, a poco a poco rafforza la classe e aiuta i ragazzi a imparare qualcosa che soprattutto servirà per la loro vita.
Poi c’è il giovane attore Ahmed Dramé, qui nei panni di sé stesso anche se con altro nome, il quale, dopo aver raccontato nel romanzo che dà il titolo al film la sua personale vicenda e quella dei suoi compagni di scuola alle prese con il progetto sulla Deportazione e la Resistenza, ne traduce l’esperienza in una sceneggiatura a quattro mani, scritta assieme alla regista. L’ intervento genuino di Dramé si sviluppa nell’intera opera, e si percepisce subito il suo punto di vista, molto preciso, che da un lato intende riprodurre gli eventi in tutti i dettagli, con estrema fedeltà, e dall’altro vuol fare emergere anche il percorso di crescita morale, senza perdere nessun passaggio.
Ciò determina un ritmo dilatato, che separa il film in due momenti distinti, passando dai conflitti di partenza tra i ragazzi fino alla loro soluzione, dovuta in particolare agli insegnamenti ascoltati durante l’analisi dell’argomento del concorso. In un certo senso, uno sguardo documentaristico sui generis si fonde con gli strumenti della fiction in un miscuglio originale che sembra stratificare vistosamente le due componenti.
Per questo motivo risulta perfettamente collocata l’intervista con Léon Zyguel, vero sopravvissuto dell’Olocausto, che espone approfonditamente i fatti di quell’oscura pagina di storia, aggiungendo una mozione alla speranza e al coraggio al di là degli orrori vissuti.
L’interpretazione dei ragazzi aggiunge al realismo della struttura quella variegata nota emotiva, profonda, non retorica, che conferisce un equilibrio corretto al film. Parallelamente, il gruppo degli studenti è guidato da una figura emblematica, rappresentata dalla professoressa Gueguen, capace di uscire dai contorni del personaggio, della dimensione cinematografica, per rivolgersi alle nuove generazioni e spingerle a non dare per scontati la compassione e il rispetto in qualunque situazione si possano trovare.
Dramé e la Mention-Schaar forniscono il loro contributo alla Memoria della Shoah mediante un lavoro accurato e completo. Il risultato rende omaggio alle vittime e nello stesso tempo attualizza in maniera pacata tutto ciò che comporta la rievocazione di quell’evento. È uno realismo filmico che parla a tutti noi, praticando la semplice, ma non superficiale intenzione di confrontarci con la nostra vera natura di uomini, in relazione a una realtà che, anche se in certe fasi lo dimentichiamo, non è sostanzialmente fondata sull’odio o sulla distruzione.
Una volta nella vita di Marie-Castille Mention-Schaar, con Ariane Ascaride, Ahmed Dramé