Uno, nessuno e… Cindy Lee.  L’altra faccia di Patrick Flegel

In Musica

Ama giocare con le identità il cantante canadese autore di “Diamond Jubilee”, l’album che è stato il caso discografico del 2024. Per la durata (oltre due ore) ma anche per la scelta che ha fatto molto discutere di “concederlo” solo a YouTube e a Band Camp. Ma i motivi per ascoltarlo e apprezzarlo sono altri

L’idea che gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo; uno che essi soltanto potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi che non erano i miei e che mi davano un aspetto destinato a restarmi sempre estraneo, pur essendo in me.
Luigi Pirandello, da Uno, Nessuno e Centomila

Viene utile il Pirandello di Uno Nessuno Centomila per addentrarci nel mondo di Cindy Lee (al secolo Patrick Flegel, musicista canadese originario di Calgary) e del suo album, Diamond Jubilee, caso discografico del 2024.

La predilezione del cantante per maschere e travestimenti si era già manifestata nel nome, “Women”, dato al gruppo che il bandleader fondò nei primi anni 2000 e che  produsse due opere di rilievo: l’omonimo Women e Public Strain, per poi sciogliersi verso la fine della prima decade del nuovo millennio. I vecchi compagni della band hanno formato i Preoccupations e presto si sono avvicinati a sonorità nitide e ai groove della new wave. Flegel, invece, si è spinto oltre Indossando una parrucca e stivali e pubblicando una serie di album con la maschera appunto di Cindy Lee. 

Diamond Jubilee conta 32 canzoni e più di due ore di musica. Tra i brani spicca Kingdom Come, che sarebbe stata una buona scelta per il singolo principale. Le sue linee di chitarra offrono uno dei migliori spazi strumentali dell’album. L’incipit, cantato dolcemente da un angolo remoto del canale stereo sinistro, dice: “L’altro giorno / avrei giurato di averti sentito chiamare il mio nome / In tutte le melodie di ieri / finché non verrà il regno”. Nella ballata Don’t Tell Me I’m Wrong il primo ritornello recita “Senza di te vicino a me / tutto ciò che ho è questa canzone / e il tuo ricordo”. Nel secondo, invece, il ricordo scompare e resta solo la melodia. 

La durata cospicua di Diamond Jubilee non sembra solo il risultato di anni di accumulo di dati sul disco rigido dell’album, ma anche una più immediata manifestazione di talento dello stesso autore. Altri brani degni di nota sono Dracula, Always Dreaming e la struggente All I Want Is You, pezzo splendido e perfettamente riuscito che coniuga la bellezza della melodia vocale alla semplice ma molto azzeccata melodia strumentale. i cori di Steve Lind conferiscono al brano un senso di comunità, le tracce esplodono improvvisamente in uno degli assoli più espressivi del cantante prima di riunirsi nel ritornello così ben riuscito. Qui le voci di Cindy (alias Patrick) e Steve si uniscono per far palpitare l’ascoltatore. La stessa emozionante gentilezza distingue Diamond Jubilee dai lavori precedenti dell’artista canadese. C’è un senso di vera tenerezza ed empatia nelle sue ballate ma mai il desiderio di indugiare nella malinconia. 

In Government Cheque, il pianto in crescendo si trasforma improvvisamente in un’esplosione travolgente di schiocchi di dita e linee di chitarra. Gran parte del materiale presente sul sito web di Cindy Lee suggerisce che questa sia l’uscita finale del progetto e, se così fosse, si ha la sensazione che il cantante non abbia voluto concludere con parsimonia, piuttosto Diamond Jubilee sembra una celebrazione di ciò di cui Lee è capace. 

Altro aspetto significativo dell’album è l’assenza di promozione e il rifiuto categorico di essere presente nelle piattaforme musicali mainstream, eccezion fatta per YouTube e Band Camp. Il musicista si è scagliato contro lo strapotere delle aziende streaming arrivando a dare del guerrafondaio al ceo di una di queste. 

Il disco secondo Pitchfork è il miglior risultato del 2024, ma a prescindere dalla qualità l’operazione commerciale nel suo complesso sollecita una domanda: è ancora possibile per una band farsi ascoltare, senza un’agenzia di pubbliche relazioni o l’appoggio di un’etichetta? Cindy Lee prova a dimostrare che è possibile, denunciando tutti i limiti del mercato discografico attuale, che ancora una volta mette in luce come la musica sia considerata più una merce, che un’opera d’arte. Si incentiva l’artista a produrre e a essere prolifico a discapito della qualità. Siamo circondati da presunti musicisti e da band che non sappiamo neanche se esistono oppure no. Gli algoritmi dominano la scena e sono sempre più efficaci nel convogliare e suggerire nuovi ascolti. 

Diamond Jubilee è una piccola perla in questo panorama ipercommerciale. Il disco risente di qualche eccesso qua e là ma è di buona fattura e non sembra soffrire delle due ore di lunghezza. Del resto non è un album con brani lunghi, ma piuttosto una raccolta di brevi brani pop, che attingono dalla tradizione anni 50/60, e sono eseguiti in modo preciso e ispirato. Da ascoltare e, perché no, riascoltare

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