Parliamo d’amore (e di odio, conflitto, perdita). Parliamo di uomini e di donne e delle loro relazioni. Attraverso libri e film e cercando il sale della vita
Le cose sono cambiate tra le donne e gli uomini: ciascuna e ciascuno di noi lo sperimenta nelle relazioni private e di intimità, nei rapporti professionali e sociali, negli scambi, condivisioni e conflitti culturali e politici. Ma, nonostante i grandi cambiamenti, i rapporti tra donne e uomini hanno fili che si ripresentano con toni quasi immutati: di amore e di odio, di subalternità e di vendetta, di comprensione e di ostilità. È la vita ed è la letteratura, sterminata, irraccontabile… e allora io mi sono divertita ad andare per vie traverse, a cercare spunti qua e là, dove mi portava la memoria, la fantasia , il divertimento…con un solo filo comune: che sono scritti da donne se sono romanzi o raccolte poetiche, filmati da donne se sono film; sono uno spiraglio di come alcune scrittrici e registe li hanno raccontati, sono un punto di vista.
E comincio da un amore osteggiato dalla società, inconcepibile per chi pensa che con l’amore si chiude quando si è vecchi. Ma, come diceva qualcuno, proibire l’amore ai vecchi è come proibirgli di portare gli occhiali per leggere. E dunque la protagonista di Olive Kitteridge di Elizabeth Strout, una vecchia professoressa acuta e a volte quasi insopportabile, dopo la morte del marito, sempre da lei tenuto in scarsa considerazione e rifiutato sessualmente in tarda età, si trova a fare i conti con una possibilità di amore da lei stessa ritenuto inconcepibile. E così lo racconta: “Olive entrò nella stanza e posò la borsa sul pavimento. Jack non si alzò a sedere: rimase lì, sdraiato sul letto, un vecchio dallo stomaco sporgente come un sacco pieno di semi di girasole… Erano lì, e il corpo di Olive, vecchio, grosso, floscio, avvertì un chiaro desiderio di quello di lui… Quello che i giovani non sanno, pensò Olive mentre si sdraiava accanto a quell’uomo, con la mano di lui sulla spalla, sul braccio, oh, quello che i giovani non sanno. Non sanno che i corpi anziani, rugosi e bitorzoluti sono altrettanto bisognosi dei loro corpi giovani e sodi, che l’amore non va respinto con noncuranza, come un pasticcino posato assieme ad altri su un piatto passato in giro per l’ennesima volta…”
Forse troppo facile, troppo ottimista, forse pensato da una donna più giovane….
Ma non sempre c’è un incontro. C’è anche il distacco,l’allontanamento, come ci racconta un bel film recente Ida, un film polacco del 2013 che nel 2015 ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero, firmato da un regista uomo in stretta collaborazione con una scrittrice donna. Un film sulla Shoah, sulla Polonia degli anni ’60, sul vissuto ancora caldo dello stalinismo, sulle scelte esistenziali. Una giovane donna che si trova a scegliere tra il convento e un amore appena intravisto con un giovane sassofonista.. Un film che racconta di come il male ti scava dentro e di come sembra non esserci speranza. «Vieni con noi a Danzica», dice lui dopo aver fatto all’amore. «E poi?» dice lei. «E poi ci ascolti, e poi facciamo all’amore». «E poi?» «e poi stiamo insieme». «E poi?» «E poi ci sposiamo». «E poi?» «poi avremo dei bambini». «E poi?» E poi lei se ne va, torna al convento perché non c’è futuro di fronte al male di cui sei stato vittima, che non ha risparmiato anche quella che ha avuto una vita diversa da te… meglio rintarnarsi nella Polonia dell’orrore del comunismo e dell’orrore della chiesa.
Oppure si può vedere il rapporto tra un uomo e una donna srotolato in una vita con delicatezza, con pudore, come un dono insperato, come ci suggerisce Wislawa Szymborska nelle sue poesie.
Guardate i due felici
Se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli amici
Sentite come ridono – è un insulto.
………
E quando lui muore, lei si nasconde dietro il dolore di un gatto rimasto senza padrone:
In ogni armadio si è guardato,
sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato
Si è perfino infranto il divieto
Di sparpagliare le carte.
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire.
………
O invece questa relazione è raccontata come ammasso di odio, di rivendicazione, di vendetta, che diventa persino paradossale, scritto con uno stile spiazzante, feroce, visionario e insieme ironico e autoironico come Vedi adesso allora di Jamaica Kinkaid, un libro di trame di amore e odio e di come il tempo va e ritorna, srotolando i rapporti, trasformandoli, in cui la casa è un “carcere con la secondina dentro”, la moglie “quella brutta strega arrivata con la nave delle banane” e il marito “così piccolo che a volte la gente lo scambiava per un roditore…..”.
O anche come un tema che non tocca solo le individualità, ma che diventa corale, un noi come ci racconta Otsuka Julie in Venivamo tutte per mare. Un libro straziante e bellissimo. La storia, cucita insieme come un patchwork, fatta di tante voci che si fondono in una sola voce, di ragazze giapponesi povere che per sfuggire alla miseria accettano di sposarsi con immigrati giapponesi che dall’America le hanno contattate. E partono con i loro sogni e arrivano a San Francisco e i loro sogni naufragano subito alla vista di quegli uomini vecchi, stanchi, brutti che avevano visto belli e vigorosi e ricchi in fotografia, svaniscono di fronte a una realtà di durezza e se possibile anche di maggiore miseria e violenza. La cosa straordinaria di questo libro è la sua costruzione: non è la somma di tante storie, è l’inanellarsi di voci che, pur rimanendo individuali, disegnano una voce collettiva forte e ipnotica che attira dentro un vortice di speranze, paure, dolori, rimpianti.
Ma i rapporti tra donne e uomini non si fermano ai rapporti tra adulti, sono anche narrazioni di come una figlia vede il padre, nel bel libro di Annie Hernaux, Il Posto. Una figlia adulta, professoressa, scrittrice che dopo la morte del padre, prima operaio e poi bottegaio in un piccolo paese della Normandia, sente la necessità di dire di lui, della “distanza che si è creata nell’adolescenza tra lui e me. Una distanza di classe, ma particolare, che non ha un nome. Come dell’amore separato”. Una scrittura, come lei stessa la definisce, “piatta” senza poesia del ricordo, per riferire di una vita “sottomessa alla necessità”. E così lo riassume, dandogli il suo “posto”: “Forse il suo più grande motivo di orgoglio, o persino la giustificazione della sua esistenza: che io appartenessi a quel mondo che l’aveva disdegnato”.
O anche di come una donna vecchia accoglie un bambino, in L’ospite di Lalla Romano, in cui una grande intellettuale e scrittrice ospita per un mese il suo piccolissimo nipotino e riscopre la capacità di condividere il senso della meraviglia, della stupefazione di fronte al mondo, una risonanza profonda nel proprio mondo interno. Come se l’incontro con un giovanissimo uomo e la tenerezza/amore che lo segna riscattasse di tutto il difficile amore con uomini adulti.
Le relazioni sono difficili, necessarie, terribili, entusiasmanti, ma ancora prima della relazione c’è la consistenza di sé: non si è in relazione senza se stesse (e se stessi). Per ritrovarsi un po’, quest’estate vi auguro di provare a assaporare Il sale della vita attraverso il libro di Françoise Héritier.
L’autrice introduce e spiega il suo libro, raccontando che un giorno d’estate, riceve dal suo medico e carissimo amico una cartolina che parla di “una settimana rubata” di vacanze in Scozia. Da quell’aggettivo “rubata” parte la riflessione che è prima di tutto una risposta a lui (“Non è la settimana che lei ha rubato, è piuttosto la sua vita che lei ruba quotidianamente, lei nasconde ciò che ogni giorno fa il sale della vita”) e il suo libro è il racconto di ciò che per lei è il sale della vita.
E scrive: “C’è una forma di leggerezza e di grazia nel semplice fatto di esistere, al di là del lavoro, al di là dei sentimenti forti, al di là degli impegni politici: è di questo che ho voluto rendere conto. Di quel piccolo in più che ci è dato a tutti: il sale della vita… Adotto il metodo di scrittura dei surrealisti: associazione di idee e lasciarsi andare… vi parlo dei fremiti intimi che procurano piccoli piaceri, interrogazioni e anche scoperte se gli si lascia il tempo di esistere…”.
Foto di copertina di Andrea Donato Alemanno