Viasaterna a Milano presenta fino al 21 giugno Meccanica, mostra collettiva a cura di Giorgio Verzotti con opere di Dadamaino, Irma Blank, Niele Toroni, Sergio Lombardo, Bertrand Lavier, Giovanni Rizzoli, Daniele Innamorato e Camilla Gurgone, unite a dibattere l’atto meccanico, la ripetizione, la casualità come principio attivo, generativo e ordinatore di forma, di linguaggio, di opere.
Quando, in Tempi moderni di Chaplin, l’ingranaggio-monumento rotante ingoia il tenero Charlot, il dispositivo di faucoltiana memoria macina non il corpo ma l’anima del malcapitato proletario, che di quell’ingranaggio diventa parte. Non parliamo qui però di alienazione e marxismi, ma di macchina come protesi, sostituto e prolunga delle umane mancanze, in una visione positivista abbagliata dal sol dell’avvenir. E di uomo-macchina che diventa mito virile, sia pur facinoroso, e di eterotropie, di mondi che esistono ma non qui e non ora, non astratti ma paraconcreti. Parliamo di come – dalla scrittura su cera, che (Platone Dixit) doveva farci perdere la memoria, alla suadente AI – l’umano deleghi alla protesi (fisica, percettiva o cognitiva) la produzione della meraviglia e del senso. E parliamo di automi come di telai, di macchine a vapore come di elettroni. La macchina che è matrice dell’alienazione del suo ingranaggio umano, circondato per medesima causa (la macchina) da immagini private dell’aura nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Ingranaggio umano che tale non sarebbe se la macchina fosse sua. Ma che è anche Zang Tumb Tumb, ma che bella la macchina ma che bello il cannone, salvo morirne in giovane età, e Mensch-Maschine dei Kraftwerk. Ed è, infine e finalmente, l’idolo pagano che, concettualmente sottosopra, non ingloba ma anzi permette al singolo individuo di liberarsi dal giogo capitalistico dell’autorialità borghese®, per diventare artefice di una produzione automatica amica del popolo.
Da premesse analoghe ma ben più solide (non me ne voglia) parte il lavoro di Giorgio Verzotti, il curatore di MECCANICA in mostra a Viasaterna a Milano, per cui “l’atto ripetitivo, meccanico, seriale, sottrae pathos alla creazione artistica, romanticamente intesa come unica, irripetibile, assegnabile al Genio creato”. L’artista come uomo-macchina nella già citata epoca della sua riproducibilità tecnica. Non l’opera d’arte ma l’artista stesso che, assorbita l’aura perduta, torna ad essere il “genio”, non più creatore ma sostituto dell’opera d’arte, che colma il vuoto lasciato dall’oggetto artistico con il suo corpo sociale. E delega, quel corpo, ad altri corpi meccanici la produzione dell’oggetto stesso, lasciando che le serigrafie, le fotografie, i segni anonimi e ripetitivi, i liquidi colanti e gli scontrini su carta chimica facciano il lavoro sporco. Gli artisti invitati da Verzotti, diversi per età e provenienza, rimarcano ognuno il suo mito che è sempre produzione automatica e Inconscio macchinico, interiorizzazione collettiva dello schema industriale e spiritualizzazione del mezzo di produzione. Siamo macchine che fanno lavorare macchine e che per le macchine lavorano. E questa ridondanza non fa che riportare indietro il meccanismo, restituendo per paradosso, e per doppia negazione, l’autorialità agli autori, che tali erano e tali restano.
Lo è l’artista svizzero Niele Toroni che da sempre, serialmente e un po’ compulsivamente, lascia segni di pennello tutti uguali, stessa forma e dimensione, prodotti con precisione dal braccio ormai automatico. È lui la macchina, ed è anche l’uomo che la aziona, lasciando che la traccia di sé si appropri del reale. Lo è senza dubbio Sergio Lombardo, carismatico non-autore di un sistema di pensiero e azione debordante, che aziona l’algoritmo le cui forme porterà in pittura, umano macchina che si fa comandare dalla macchina, senziente di rimando, per lasciare il posto alla reazione del pubblico. È autoriale il gesto mandalico di Irma Blank, che dai segni più minuti apre squarci di ipnotica astrazione. Lo sono gli scherzetti metasemantici di Bertrand Lavier, che prematura la supercazzola del filato industriale delle tovaglie da mercato con una pittura astratto geometrica intensissima, ma in realtà identica alla precedente e sottostante tovaglia. Lo è Daniele Innamorato, che della suddetta aura si fa cercatore devoto e la ritrova non nella manualità dell’autore, bensì nel gioco di passaggi di colore tra strati di materia plastica, monotipi plurimi ridondanti e profondissimi. Lo è Giovanni Rizzoli, che dalla flebo che raggela di trauma inietta di blu (che è oceano e blues) cuscini preziosissimi in broccato veneziano, innescando con la meccanica del dolore l’esplosione della bellezza. E lo è camilla Gurgone, la più giovane del gruppo che, se da una parte esplora (lecita curiosità) le potenzialità espressive dell’Intelligenza Artificiale con cui interagisce alla pari, dall’altra ci regala una poeticissima coda di ready-made alla Amelie, recuperando scontrini sgualciti di cui riproduce gli acquisti, facendo poi esperienza dei prodotti acquistati così come, da lontano, degli acquirenti originari.
Un dialogo etico ed estetico tra contenuti e contenitori che provoca una commistione, uno scambio reciproco e corale tra significanti e significati delle opere esposte, quasi a costruire un macchinario di macchinari di cui le singole opere sono ingranaggi, e che produce gestalticamente ulteriori e inaspettati rimandi di senso. Senso che si apre e si espande, sopra la fabbrica, sopra l’alienazione, sopra l’autorialità, verso l’iperuranio dell’arte e delle idee. Fermo restando il rischio che invece la macchina, alla fine, vinca lei. Come foss’antani.
Meccanica, a cura di Giorgio Verzotti, Viasaterna, milano, fino al 21 giugno 2024
In copertina: Sergio Lombardo, Stochastic Tiling, 2015, pittura vinilica su tela, cm 120×180 © Sergio Lombardo, Courtesy Archivio Sergio Lombardo